venerdì 25 giugno 2010

Gl+Silvia+J

E' cosa più unica che rara che Gl D'Andrea si presti (ben accompagnato, tra l'altro) ad un incontro con i lettori.

Quando, dopo diverse settimane di (quasi) silenzio ha annunciato che ne avrebbe organizzati alcuni e che uno si sarebbe tenuto a Bologna ho subito realizzato che ci sarei andata ( a discapito del compleanno della mamma, la quale comunque è stata ricompensata con autografo e dedica dell'autore, una bella rosa e tantissima gratitudine).

Non vi parlerò degli argomenti trattati perchè la mia jessicuzza sta preparando un po' di materiale da mettere su www.conparolenostre.it, vi parlerò di quello che è successo dopo.

In teoria "dopo" saremmo dovute tornare a casa, andare a letto e lì dormire o dedicarci ad altri piacevoli intrattenimenti.

Ma.

Sì, siamo tornate a casa, si siamo andate a letto, sì abbiamo dormito o fatto altro...ma la testa, che non ha residenza, non ci ha seguite.

In macchina non abbiamo parlato granchè, ma a volte, quando ci si capisce, non serve troppo fiato. Il cervello ha innescato una serie di meccanismi non indifferenti. Quando questo accade, quando esci da un evento e ne sei in qualche modo turbato (non necessariamente in senso negativo) allora sai di aver ben speso il tuo tempo.

Certi meccanismi si stanno ancora muovendo e non ne scriverò finchè non avranno terminato ogni elaborazione.

Una frase di jessica però mi ha colpita: "credo di aver riempito il mio libro di stereotipi".

Non mi soffermo sulla frase in sé, perchè credo che questi dubbi colgano un po' tutti gli scrittori, no?

Lo stesso Gl ci ha raccontato di trovare piuttosto difficile l'affrontare personaggi femminili, e di temere (probabilmente non è il termine giusto) di cadere in uno dei tanti stereotipi del "personaggio femminile".

Il dubbio che, suppongo, voleva esprimere jessica era forse un altro, in realtà. Forse si è chiesta quello che anch'io non smetterò mai di chiedermi: "Sono pronta? Ho il talento? Ce la farò? Me lo merito?", tutte declinazioni dello stesso dubbio, in fin dei conti.

Ma c'è una frase, sulla quale tutti i protagonisti dell'evento si sono soffermati, che mi ha dato un'immensa fiducia: "bisogna avere grandi ambizioni".

Persino l'aggettivo "grande" in realtà è molto soggettivo. L'ambizione s'identifica meglio, invece.

Mai fermarsi, mai farsi torchiare dai dubbi. Bisogna migliorarsi, sempre. Il miglioramento presuppone qualche errore, qualche decisione avventata, molte imperfezioni, chissà quante errate valutazioni. Abbiamo scritto dei romanzi, io e Jessica. Non importa che siano belli o costruttivi o innovativi. Importa solo averli finiti, per poterne scrivere altri. E che siano migliori dei precedenti.


PS

Gl lo facevo più alto.

Silvia la credevo bionda.

Kai Zen J si guarda volentieri (sì lo si ascolta anche volentieri, ma oltre alle orecchie uso anche gli occhi e non solo per leggere.)

sabato 5 giugno 2010

Romanzi da prendere o da lasciare.

Questo sarà un post noioso, ve lo dico subito, ma ho voglia di scriverlo perciò lo farò.
Sto facendo un discreto casino (casino è la parola giusta) con il nuovo romanzo.
Che poi, chi mi conosce sa che ne sto scrivendo due, allora diciamo che non mi riferisco a quello a sfondo animalista ma all'altro.
Pensavo di avere, almeno stavolta, le redini della storia, di condurre il romanzo senza problemi. Anche stavolta non è così.
Leggo e seguo i blog di vari scrittori italiani, e mi rendo conto di essere davvero casinista rispetto a loro. Questi professionisti (passatemi il termine) hanno sempre sotto controllo storia e personaggi, ma soprattutto hanno metodo. Sono rigorosi.
Licia ad esempio scrive tutte le sere un tot di pagine, non una di meno.
Gl D'Andrea prima di iniziare a scrivere il romanzo stende una scaletta degli avvenimenti.
Io? Io vengo folgorata da un'immagine, una scena, un dialogo. Scrivo la folgorazione. Poi mi pongo delle domande: perchè la ragazza si suicida (Moona)?, dove sta andando la ragazza in aereo (Kate)?, cosa aspetta la ragazza che si mangia le unghie (Alice)?, perchè il bell'uomo osserva la folla con distaccato disprezzo (Luca)?
E rispondo. Quindi la risposta esige nuove scene, nuovi personaggi. Vado avanti alla cieca. Poi di norma un po' prima di arrivare a metà stesura ho deciso come si snoderanno gli eventi e quale sarà l'epilogo del romanzo. E arrivata all'epilogo mi attendono almeno tre nuove stesure per tappare i buchi, sistemare le incongruenze e appianare deus ex machina allucinanti.
Ma con questo romanzo ho stravolto tutte (ma proprio tutte!) le mie idee ben tre volte.
Cosa sto combinando? Sto cercando di fare il passo più lungo della gamba? Voglio scrivere storie che vanno al di là delle mie capacità? Temo di sì.
Forse sto cercando di varcare i miei limiti, ma i miei limiti probabilmente sono invalicabili.
Nei momenti di sconforto mi viene voglie di cancellare il file.
Ma il fatto che io non sia pronta adesso, non significa che non lo sarò in futuro.
Ma chi glielo dice ai miei personaggi che non sono capace di portare avanti le loro vicende? Bussano talmente forte alla mia porta che non riesco a non aprire. Al momento non so cosa è giusto fare, se abbandonare (almeno momentaneamente) o continuare la storia.

venerdì 28 maggio 2010

Libri&Vampiri

Mi rendo conto di avere un approccio davvero bulimico con i miei romanzi. Mi lancio su uno, lo abbandono, mi lancio sull’altro, poi torno sul primo ma prima o dopo riprendo il secondo. Posso stare anche diversi giorni senza toccare né l’uno né l’altro (che non vuol dire che non scrivo, vuol dire che scrivo altro). In quei giorni di solito mi concentro sul romanzo di Moona (che ho cacciato su internet gratis: tenerlo nel cassetto non ha senso), e mi chiedo se è un lavoro ben fatto. Quantomeno, se è un lavoro che avrei potuto fare meglio. Di solito mi rispondo che sì, avrei potuto e dovuto fare meglio. Ma ho tagliato il cordone ombelicale, Moona cammina da sola e se con lei ho sbagliato ormai è troppo tardi. Ci sono cuccioli che nascono malati, e il loro destino è quello di riempire la vita della mamma per poco tempo, prima di morire e lasciare la mamma addolorata sì, ma anche impegnata ad allevare altri cuccioli nella speranza di fare meglio. Per ora resto a guardarlo, quel romanzo, e mi chiedo cosa ne sarà di lui. Mi chiedo se devo fare qualcosa. Ma cosa? L’ho scritto, riscritto (4 o 5 volte), mandato a due concorsi (no, non ha vinto) e proposto a due agenzie letterarie (avrò risposta dopo l’estate...forse). Alla fine l’ho dato in pasto a internet, tanto per ingannare l’attesa. Il problema comunque è un altro. Il problema è rispondere alla domanda: “è un romanzo sui vampiri?”

E se pensate che sia una domanda banale, vi sbagliate. E’ la prima cosa che mi chiedono TUTTI quando dico che scribacchio e che ho messo su internet la storia, e io spesso mi trovo in difficoltà nel rispondere. Perché mi trovo in difficoltà? Perché sì, ci sono dei vampiri, ma no, non direi che è un romanzo sui vampiri. Quantomeno, non mi sembra proprio rispecchi il genere di “romanzo sui vampiri” che intende la gente in questo momento. Eppure, un maledetto senso di colpa mi stringe lo stomaco quando tento di rispondere alla domanda. La domanda che mi pongo IO non è se ho scritto un romanzo commerciale, ma se HO VOLUTO scriverlo. Mi sono messa davanti al pc con in mente la scena del suicidio (parte sempre tutto da lì: una scena), ma quello che ne è scaturito è stato influenzato dal “marketing de no’altri”? Onestamente credo di no. Ricordo bene come e quando ho iniziato quel romanzo (che, per inciso, s’intitola Il salvatore di anime): era per un concorso, e doveva essere un racconto. Le dritte per il genere lo dava il comitato di lettura: perciò doveva essere un urban fantasy. Davano il nome della megalopoli (che ovviamente ho cambiato) e alcuni paletti.

Dopo poche pagine scritte mi sono resa conto che non avrei partecipato a quel concorso, che la storia aveva preso una sua strada e che avrebbe proseguito senza rispettare i canoni del regolamento. Ho continuato a scrivere, senza pormi domande sul perché e sul per come. Se non ricordo male (ma non ci scommetterei grosse somme) a quei tempi non era scoppiata la moda Twilight. Ma poi è scoppiata. Ne sono stata investita in quanto scrittrice (o meglio, in quanto persona che ama scrivere)? Mi ha influenzato?

Posso dire con assoluta certezza che Il salvatore di anime sarebbe stato lo stesso romanzo se Stephenie Meyer non fosse approdata in Italia?

Perché io Twilight l’ho letto. E ho letto anche gli altri libri della saga. Alcuni non mi sono piaciuti per niente, alcuni poco e alcuni mi hanno soddisfatta. Perciò, tecnicamente, può essere vero: potrei essere stata influenzata. Non credo però di aver scritto un clone. Allora perché alla domanda “è un libro sui vampiri?” rispondo sempre con un “no, però...” o con un “sì, anche se...”?


PS

qua breve (ma intensa) lista di agenzie letterarie con tanto di prezzi