venerdì 25 giugno 2010

Gl+Silvia+J

E' cosa più unica che rara che Gl D'Andrea si presti (ben accompagnato, tra l'altro) ad un incontro con i lettori.

Quando, dopo diverse settimane di (quasi) silenzio ha annunciato che ne avrebbe organizzati alcuni e che uno si sarebbe tenuto a Bologna ho subito realizzato che ci sarei andata ( a discapito del compleanno della mamma, la quale comunque è stata ricompensata con autografo e dedica dell'autore, una bella rosa e tantissima gratitudine).

Non vi parlerò degli argomenti trattati perchè la mia jessicuzza sta preparando un po' di materiale da mettere su www.conparolenostre.it, vi parlerò di quello che è successo dopo.

In teoria "dopo" saremmo dovute tornare a casa, andare a letto e lì dormire o dedicarci ad altri piacevoli intrattenimenti.

Ma.

Sì, siamo tornate a casa, si siamo andate a letto, sì abbiamo dormito o fatto altro...ma la testa, che non ha residenza, non ci ha seguite.

In macchina non abbiamo parlato granchè, ma a volte, quando ci si capisce, non serve troppo fiato. Il cervello ha innescato una serie di meccanismi non indifferenti. Quando questo accade, quando esci da un evento e ne sei in qualche modo turbato (non necessariamente in senso negativo) allora sai di aver ben speso il tuo tempo.

Certi meccanismi si stanno ancora muovendo e non ne scriverò finchè non avranno terminato ogni elaborazione.

Una frase di jessica però mi ha colpita: "credo di aver riempito il mio libro di stereotipi".

Non mi soffermo sulla frase in sé, perchè credo che questi dubbi colgano un po' tutti gli scrittori, no?

Lo stesso Gl ci ha raccontato di trovare piuttosto difficile l'affrontare personaggi femminili, e di temere (probabilmente non è il termine giusto) di cadere in uno dei tanti stereotipi del "personaggio femminile".

Il dubbio che, suppongo, voleva esprimere jessica era forse un altro, in realtà. Forse si è chiesta quello che anch'io non smetterò mai di chiedermi: "Sono pronta? Ho il talento? Ce la farò? Me lo merito?", tutte declinazioni dello stesso dubbio, in fin dei conti.

Ma c'è una frase, sulla quale tutti i protagonisti dell'evento si sono soffermati, che mi ha dato un'immensa fiducia: "bisogna avere grandi ambizioni".

Persino l'aggettivo "grande" in realtà è molto soggettivo. L'ambizione s'identifica meglio, invece.

Mai fermarsi, mai farsi torchiare dai dubbi. Bisogna migliorarsi, sempre. Il miglioramento presuppone qualche errore, qualche decisione avventata, molte imperfezioni, chissà quante errate valutazioni. Abbiamo scritto dei romanzi, io e Jessica. Non importa che siano belli o costruttivi o innovativi. Importa solo averli finiti, per poterne scrivere altri. E che siano migliori dei precedenti.


PS

Gl lo facevo più alto.

Silvia la credevo bionda.

Kai Zen J si guarda volentieri (sì lo si ascolta anche volentieri, ma oltre alle orecchie uso anche gli occhi e non solo per leggere.)

sabato 5 giugno 2010

Romanzi da prendere o da lasciare.

Questo sarà un post noioso, ve lo dico subito, ma ho voglia di scriverlo perciò lo farò.
Sto facendo un discreto casino (casino è la parola giusta) con il nuovo romanzo.
Che poi, chi mi conosce sa che ne sto scrivendo due, allora diciamo che non mi riferisco a quello a sfondo animalista ma all'altro.
Pensavo di avere, almeno stavolta, le redini della storia, di condurre il romanzo senza problemi. Anche stavolta non è così.
Leggo e seguo i blog di vari scrittori italiani, e mi rendo conto di essere davvero casinista rispetto a loro. Questi professionisti (passatemi il termine) hanno sempre sotto controllo storia e personaggi, ma soprattutto hanno metodo. Sono rigorosi.
Licia ad esempio scrive tutte le sere un tot di pagine, non una di meno.
Gl D'Andrea prima di iniziare a scrivere il romanzo stende una scaletta degli avvenimenti.
Io? Io vengo folgorata da un'immagine, una scena, un dialogo. Scrivo la folgorazione. Poi mi pongo delle domande: perchè la ragazza si suicida (Moona)?, dove sta andando la ragazza in aereo (Kate)?, cosa aspetta la ragazza che si mangia le unghie (Alice)?, perchè il bell'uomo osserva la folla con distaccato disprezzo (Luca)?
E rispondo. Quindi la risposta esige nuove scene, nuovi personaggi. Vado avanti alla cieca. Poi di norma un po' prima di arrivare a metà stesura ho deciso come si snoderanno gli eventi e quale sarà l'epilogo del romanzo. E arrivata all'epilogo mi attendono almeno tre nuove stesure per tappare i buchi, sistemare le incongruenze e appianare deus ex machina allucinanti.
Ma con questo romanzo ho stravolto tutte (ma proprio tutte!) le mie idee ben tre volte.
Cosa sto combinando? Sto cercando di fare il passo più lungo della gamba? Voglio scrivere storie che vanno al di là delle mie capacità? Temo di sì.
Forse sto cercando di varcare i miei limiti, ma i miei limiti probabilmente sono invalicabili.
Nei momenti di sconforto mi viene voglie di cancellare il file.
Ma il fatto che io non sia pronta adesso, non significa che non lo sarò in futuro.
Ma chi glielo dice ai miei personaggi che non sono capace di portare avanti le loro vicende? Bussano talmente forte alla mia porta che non riesco a non aprire. Al momento non so cosa è giusto fare, se abbandonare (almeno momentaneamente) o continuare la storia.

venerdì 28 maggio 2010

Libri&Vampiri

Mi rendo conto di avere un approccio davvero bulimico con i miei romanzi. Mi lancio su uno, lo abbandono, mi lancio sull’altro, poi torno sul primo ma prima o dopo riprendo il secondo. Posso stare anche diversi giorni senza toccare né l’uno né l’altro (che non vuol dire che non scrivo, vuol dire che scrivo altro). In quei giorni di solito mi concentro sul romanzo di Moona (che ho cacciato su internet gratis: tenerlo nel cassetto non ha senso), e mi chiedo se è un lavoro ben fatto. Quantomeno, se è un lavoro che avrei potuto fare meglio. Di solito mi rispondo che sì, avrei potuto e dovuto fare meglio. Ma ho tagliato il cordone ombelicale, Moona cammina da sola e se con lei ho sbagliato ormai è troppo tardi. Ci sono cuccioli che nascono malati, e il loro destino è quello di riempire la vita della mamma per poco tempo, prima di morire e lasciare la mamma addolorata sì, ma anche impegnata ad allevare altri cuccioli nella speranza di fare meglio. Per ora resto a guardarlo, quel romanzo, e mi chiedo cosa ne sarà di lui. Mi chiedo se devo fare qualcosa. Ma cosa? L’ho scritto, riscritto (4 o 5 volte), mandato a due concorsi (no, non ha vinto) e proposto a due agenzie letterarie (avrò risposta dopo l’estate...forse). Alla fine l’ho dato in pasto a internet, tanto per ingannare l’attesa. Il problema comunque è un altro. Il problema è rispondere alla domanda: “è un romanzo sui vampiri?”

E se pensate che sia una domanda banale, vi sbagliate. E’ la prima cosa che mi chiedono TUTTI quando dico che scribacchio e che ho messo su internet la storia, e io spesso mi trovo in difficoltà nel rispondere. Perché mi trovo in difficoltà? Perché sì, ci sono dei vampiri, ma no, non direi che è un romanzo sui vampiri. Quantomeno, non mi sembra proprio rispecchi il genere di “romanzo sui vampiri” che intende la gente in questo momento. Eppure, un maledetto senso di colpa mi stringe lo stomaco quando tento di rispondere alla domanda. La domanda che mi pongo IO non è se ho scritto un romanzo commerciale, ma se HO VOLUTO scriverlo. Mi sono messa davanti al pc con in mente la scena del suicidio (parte sempre tutto da lì: una scena), ma quello che ne è scaturito è stato influenzato dal “marketing de no’altri”? Onestamente credo di no. Ricordo bene come e quando ho iniziato quel romanzo (che, per inciso, s’intitola Il salvatore di anime): era per un concorso, e doveva essere un racconto. Le dritte per il genere lo dava il comitato di lettura: perciò doveva essere un urban fantasy. Davano il nome della megalopoli (che ovviamente ho cambiato) e alcuni paletti.

Dopo poche pagine scritte mi sono resa conto che non avrei partecipato a quel concorso, che la storia aveva preso una sua strada e che avrebbe proseguito senza rispettare i canoni del regolamento. Ho continuato a scrivere, senza pormi domande sul perché e sul per come. Se non ricordo male (ma non ci scommetterei grosse somme) a quei tempi non era scoppiata la moda Twilight. Ma poi è scoppiata. Ne sono stata investita in quanto scrittrice (o meglio, in quanto persona che ama scrivere)? Mi ha influenzato?

Posso dire con assoluta certezza che Il salvatore di anime sarebbe stato lo stesso romanzo se Stephenie Meyer non fosse approdata in Italia?

Perché io Twilight l’ho letto. E ho letto anche gli altri libri della saga. Alcuni non mi sono piaciuti per niente, alcuni poco e alcuni mi hanno soddisfatta. Perciò, tecnicamente, può essere vero: potrei essere stata influenzata. Non credo però di aver scritto un clone. Allora perché alla domanda “è un libro sui vampiri?” rispondo sempre con un “no, però...” o con un “sì, anche se...”?


PS

qua breve (ma intensa) lista di agenzie letterarie con tanto di prezzi

martedì 25 maggio 2010

I libri abitano qui...

Mi trasferisco! Cioè, trasferisco tutto ciò che riguarda la letteratura in generale, e lo metto qua: www.conparolenostre.it

Il template non è quello definitivo, ma i contenuti ci sono già tutti, e i commenti aperti. La grafica quindi lascia ancora un po' a desiderare ma ci stiamo attivando, è questione di giorni.

In questi lidi resteranno quindi solo le mie paturnie personali, i miei deliri animalisti (solo i deliri, infatti anche le cose serie e importanti animaliste vengono trasferite) e gli episodi di vita quotidiana. Su quel sito abbiamo riposto tanto tempo e dedizione, qualche soldini e non poche speranze. Lì sono scaricabili i romanzi mio e di Jessica: se vi va prendeteli e fatene quello che volete. Se doveste mai leggerli, ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche nel caso in cui non vi fossero piaciuti. Li abbiamo messi lì per condividerli: in fondo scrittura è anche questo: comunicazione e condivisione.

Per ora vi saluto!

venerdì 21 maggio 2010

Agenzie letterarie: numeri.

Ho provato. Ho cercato. Ho telefonato. Ho googlato.

Agenzie letterarie che NON chiedono contributi: 2.

Una è la Contrappunto. Ho cercato informazioni, esperienze. Leggono gratis. Per editare vogliono 4000 euro. Poi ti trovano una casa editrice che vuole altri 1500 euro per pubblicarti. Quindi per andare a pari delle spese dovresti vendere 6000 copie. Ci sono esordienti che con Mondadori non le hanno vendute 6000 copie. Devo aggiungere altro?

Dreamfarm. Nessuna esperienza trovata. Finora hanno pubblicato professionisti che direttamente o indirettamente hanno già lavorato nell'editoria a vari livelli. Probabilità che pubblichino una giovane esordiente: poche. Però è ancora presto, sono neonati e io concedo il beneficio del dubbio. Chi vivrà vedrà.

Le altre chiedono soldi. Oppure non accettano esordienti (Nicolazzini ha riferito che stanno valutando un servizio per gli esordienti. Temo sarà a pagamento, ma ancora è presto per dirlo. Agnese Incisa non è ancora stata contattata, provvederò lunedì).

Quindi.

Concorsi: pochi sono affidabili. Ripongo un po' di fiducia nel premio Odissea della Delos (che chiede 50 euro di spese ma regala il libro vincitore e manda una scheda dettagliata di ogni romanzo spedito - che però io, che ho partecipato l'anno scorso, ancora non ho ricevuto)(a pensarci bene, non ho ricevuto nemmeno il romanzo vincitore).

Cosa ci resta? Qualche briciolina, signori. Io sono tuttora convinta che prendere il malloppo e spedirlo alle case editrici sia una poderosa perdita di tempo e denaro. Qualche moschetta bianca (che però nell'editoria ci bazzica) mi assicura che non è così.

Conclusione: non ho ancora capito qual è la strada giusta (senza apostrofo, QUAL E' si scrive senza apostrofo! Perchè su facebook tutti mettono l'apostrofo?).

Una cosa però l'ho capita: se non hai agganci, almeno un po' di culo lo devi avere (inteso come fortuna. Il culo inteso come parte anatomica va accoppiato quantomeno a un paio di tette. Ma credo che almeno in campo editoriale tette e culi non siano indispensabili.)

Mi sono segnata un po' le informazioni raccolte sulle agenzie letterarie. Praticamente ho il listino prezzi: potrei farci un post, ma a cosa servirebbe?

Non è utile sapere a chi NON ci si deve rivolgere, è utile sapere su chi è possibile fare affidamento. E io ancora non lo so.

Sono tentata dalla cara vecchia spedizione del manoscritto. Vorrei credere a chi mi dice che "le case editrici leggono tutti i manoscritti, e lo stesso fanno gli editor", ma è davvero dura. LA cosa positiva è che ho scoperto che con la formula PLICO LIBRI la spedizione del manoscritto è a prezzo molto ridotto (ebbene sì, uno l'ho spedito!). Provare per credere.

domenica 16 maggio 2010

Basta un poco di Dimitri e un pizzico di D'Andrea e la pillola va giù

Ho rimesso piede a casa un minuto e mezzo fa. E sono qui. Qui a non saper bene cosa scrivere, però sto bene qui, davanti al mio pc e con le dita sulla tastiera e stavo bene anche a Torino, tra libri e scrittori. Così come accaduto al Festivaletteratura sono molto contenta di essere andata al Salone del Libro di Torino. Non posso non dire di preferire il festival di Mantova a alla fiera di Torino, ma entrambe le manifestazioni sono comunque da provare, a mio parere.

Diciamo che in Piemonte ad essere centrale è prevalentemente l'editoria intesa come casa editrice, a Mantova invece è l'autore e il suo rapporto con i lettori ad essere centrale.

Ciò detto, in questi due giorni ho avuto modo di esplorare un po' il mio di rapporto con i libri. In particolare ho ragionato sul mio rapporto con i libri altrui. Questo è stato finora un anno molto felice dal punto di vista delle letture, cosa che l'anno scorso non era accaduto.

Cosa c'è di nuovo quest'anno? Quest'anno ho conosciuto (dal punto di vista letterario e non dal punto di vista personale) due autori che mi hanno letteralmente entusiasmato: Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Sia chiaro che non li sto accostando in quanto simili (sono persone diverse che scrivono cose diverse in modo diverso), ma solo perchè li ho "scoperti" più o meno nello stesso periodo e mi hanno appagata e accontentata (sempre dal punto di vista letterario) ben al di là di quelle che erano le mie aspettative. Ero arrivata quasi a non considerare più il genere fantastico, mi ero accostata quasi esclusivamente all'horror, alla narrativa classica e al thriller. In parole povere ero stanca di baby scrittori e anche, lo dico in tutta onestà, del Mondo Emerso. L'ultima trilogia di Licia Troisi non l'ho nemmeno iniziata e non ho intenzione di farlo: non perchè la qualità del lavoro svolto dall'autrice sia calato, ma semplicemente credo sia giunta l'ora di uscire dall'ormai impantanato Mondo Emerso. E' giunta l'ora di dire basta, o almeno questo è il mio pensiero. Per quanto riguarda invece La Ragazza Drago ho poco da dire: il primo non mi è piaciuto e non ho intenzione di comprare i volumi successivi. Potrei riassumere il tutto con un'unica parola: noia. Il fantastico non mi divertiva più, non mi stupiva e non mi sconvolgeva.

Poi qualcuno mi ha sussurrato all'orecchio il nome di Gl D'Andrea. Per mesi non ho ascoltato quel sussurro. Poi, chissà perchè, ho detto "ok, proviamo". Ed è stata una scelta incredibilmente azzeccata. Poi, lo stesso sussurro mi ha dato un altro nome: Francesco Dimitri. Stavolta ho ascoltato subito, e ho letto Pan. Altra scelta giustissima.

Infine sono arrivati il secondo volume di Wunderkind e la nuova fatica di Dimitri (Alice nel Paese della Vaporità). E qui si è scatenato l'entusiasmo. Sono due opere che mi sento di classificare come eccellenti, due opere che mi hanno convinta al 100%, due opere che, udite udite, non mi hanno solo divertita ma anche stupita. Ho letto qualcosa che non credevo di poter leggere, che non sapevo esistesse e che può davvero cambiare il futuro del fantastico. Se io avessi due cent da puntare, li punterei su Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Chiaro che ora le mie aspettative sono altissime, e quindi di libro in libro divento una lettrice sempre più esigente. Chiaro che mi aspetto da questi due autori qualcosa di diverso ogni volta, qualcosa di più (più nuovo, più entusiasmante, più tutto) ogni volta. Ogni volta, mi aspetterò di leggere la parola FINE sui loro romanzi e sentirmi come mi sento adesso: entusiasta e fiduciosa.

La mia è quasi una pretesa: non li voglio vedere impantanarsi a lungo sui mondi creati finora, non li voglio vedere scrivere di tutte le generazioni future dei loro personaggi. Ogni volta qualcosa di nuovo. Chiedo troppo? Di certo chiedo moltissimo. Ma da quel poco (pochissimo) che posso (pretendere di) aver capito dalle loro parole (su blog, interviste, fb ecc...) credo di chiedere la stessa cosa che chiedono a loro stessi.

Stupitemi. Anzi, stupitemi ancora. Grazie.

giovedì 13 maggio 2010

Non lasciarmi qui.


Batuffoli di pelo scodinzolanti, saluti fatti di versi incomprensibili, baci umidi.
Ciotole piene, acqua rovesciata, cucce rassicuranti.
Lunghe passeggiate, biscotti di marca, carezze a volontà.
Terapie, inserimenti, recuperi.
Le mie e le vostre giornate sono fatte di questo e altro. Finchè stiamo insieme.
Poi devo andare via, devo andare a casa. Voi no, voi siete ancora lì.
Ogni volta è più difficile, ogni volta mi dico che manca un giorno in meno, che, forza!, un’altra settimana è passata e prima o poi quella maledetta casa sarà finita.
Esco dal vostro box - un box grande, sì, un box protetto, sì, un box accogliente, sì, ma pur sempre un box – e vedo te, Cody, che paziente e saggio come ogni cane della tua età (hai 9 anni, dicono, ma secondo me ne hai meno) ti sdrai sulla brandina e mi guardi pieno di gratitudine e di aspettative. Fai bene ad avere delle aspettative: l’hai capito, vero? L’hai capito che ti porterò a casa. Non hai fretta tu, che hai passato tutta la vita a Napoli, in un posto piccolo e sporco, senza passeggiate, senza cure. Le tue zampe storte testimoniano la poca mobilità, la tua leishmania prova le poche, forse inesistenti, attenzioni igienico-sanitarie. Poi con l’aiuto e il sostegno di altre persone meravigliose ti ho portato quassù. Quassù è pur sempre un canile, ma è un posto meraviglioso per te, che non avevi mai ricevuto tante attenzioni.
Esco da tuo box e i tuoi mi dicono: “Ti aspetto.”
Giusy, tu ancora non sei saggia, non sei paziente: tu sei una cucciola di poco più di un anno. Sei esuberante, piena di energia, eccitata. Esco dal vostro box e tu ti aggrappi alle sbarre. No, non con disperazione, non con rassegnazione, non con tristezza.
Non sei più lo straccetto di pelo e ossa con la coda mozzata che hanno portato al rifugio in giugno 2009. Eri inavvicinabile, dicono. Uno sgrorbietto piccolo ma pieno di rabbia. Ringhiavi a chiunque, la bava alla bocca, due file di denti bianchi bene in vista. Tremavi nel tuo angolo. Ma non era cattiveria la tua. No, era terrore, diffidenza, istinto di sopravvivenza. Cosa ti avevano fatto per ridurti così nessuno lo sa. Non importa, è passato tutto. Ora sei vivace e fiduciosa, un po’ irruenta ma contenibile. L’opposto di Cody, e forse per questo siete una coppia perfetta. 25 kg l’uno: 50 kg di trascorsi diversi ma con un presente in comune e un futuro da trascorrere con me e Davide.
Quando esco dal vostro box i tuoi occhi, Giusy, mi dicono: “Non lasciarmi qui.”
L’hai imparato bene, maliziosa e sveglia some sei, che se mi allunghi la zampa fuori dalle sbarre e mi guardi dicendomi così, io torno indietro, tardando il mio ritorno verso casa di altri dieci minuti.
E Cody, vecchietto ma arzillo, ti imita.
Tranquilli, non vi lascio qui. Voi aspettatemi.

lunedì 10 maggio 2010

Io, Esbat e le "robe giapponesi"

Non è mia abitudine stroncare un libro solo perchè non mi è piaciuto, perciò non lo farò, dirò solo che ho abbandonato la lettura di V.M.18 e ho iniziato Esbat.

Riprenderò V.M.18 prossimamente, magari dopo Saramago e Dazieri, quando forse non sarò più fortemente influenzata dalle altissime aspettative che mi ero creata nei confronti di questo romanzo.

Parliamo di Esbat, invece. Non esporrò un’articolata opinione perché non l’ho ancora finito, posso però dire che finora mi piace molto.

A rallentarmi, oggettivamente, è la mia davvero scarsa (quasi inesistente) cultura in ambito anime e manga (e tutte le “robe giapponesi”). Nella mia ignoranza credo di aver indovinato nel manga-anime Hinuyasha (che probabilmente non si scrive così, ma dato che si capisce lo stesso non perdo tempo a cercarlo su google) l’origine di questo romanzo che poi è una fanfiction.

Ok, di Hinuyasha so qualcosa dato che mi è capitato di vederne qualche puntata su MTV. Mi ricordo che c’era Kagome, un demone volpe, una sfera dei 4 spiriti che non ho mai capito bene cosa fosse e a cosa servisse, una tipa che è morta 5 o 6 volte che faceva (fa?) la sacerdotessa e vari altri personaggi di contorno, tra cui il cattivissimo cattivo che a un certo punto si trasforma in due neonati (uno buono e uno cattivo). Poi, ovviamente, c’è il mezzo demone e protagonista Hinuyasha che ha un fratello demone che non mi ricordo come si chiama (e che mi pare essere lo stesso che va a letto con la Sensei in Esbat).

Tutto ciò ha in realtà poco a che fare con Esbat, la cui storia si snoda su vicende diverse.

Dove sta la mia difficoltà? Non saprei indicare una motivazione scatenante (beh, i nomi giapponesi e gli optional sempre giapponesi e impronunciabili non aiutano), ma è oggettivo che quando siamo in ambito manga o anime io mi sento un pesce fuor d’acqua. Annaspo davvero, stando a galla sì, ma con fatica. E’ un po’ come essere in mare: non so nuotare ma stranazzo, il risultato è che per fare 2 metri uso il fiato che un mediocre nuotatore userebbe in 2 vasche.

Così, arrivata al momento in cui la protagonista di Esbat (Sensei...ma avrà anche un nome?) incontra il suo demone, devo tornare a rileggere tutto il primo capitolo per capire cosa diavolo le sta rinfacciando e perché diavolo prima la vuole sbudellare e poi le regala il più bell’orgasmo della vita. Poi ho capito, ma mi sono dovuta aiutare con una specie di schemino. E il problema, ne sono certa, non sta nella scrittura dell’autrice (Lara Manni) ma nella mia testa. Prendiamo, ad esempio, Full Metal Alchemist: un anime che mi risulta essere tratto da un manga. Io non ci provo proprio a entrare nella storia. Nella mia testa la filosofia di queste opere si annacqua, poi si sgretola, poi sparisce. Devo avere una specie di filtro nel cervello che mi impedisce di capire le storie, di capire i personaggi e di tenere a mente quel poco che credo di aver capito ma che probabilmente ho frainteso. Avete presente la scimmietta che sbatte i piatti nel cervello di Homer Simpson quando lavora? Ecco, a me succede la stessa cosa davanti a manga/anime, e non so il perché. C’è qualcosa che mi affascina, che mi prende e che mi trascina, ma c’è qualcosa, qualcosa di chiaramente più forte, che non mi consente di avere un vero feeling.

E la cosa triste, in tutto questo, è che ho la netta sensazione di perdermi qualcosa di davvero piacevole. Esbat non fa che acuire questa sensazione.

mercoledì 5 maggio 2010

I miei due cents su "Wunderkind 2 - La rosa e i tre chiodi"

Wunderkind - La rosa e i tre chiodi ( da qui in avanti W2) non è un romanzo, è un viaggio. Non un viaggio di piacere, però: questa è una lettura dolorosa. E' però un viaggio che vale la pena fare.

Con Una lucida moneta d'argento (da qui in avanti W1) ho faticato a dissolvere le nebbie del Dent de Nuit: penetrare il quartiere invisibile, nel primo volume, è stata una sfida piacevolmente vinta ma che mi è costata fatica.

In questo secondo volume, invece, nel Dent de Nuit ci sono stata trascinata a forza, e l'esperienza è stata violenta.

Non c'è speranza, in questo libro: solo dolore e sangue. Così come il primo volume, il W2 non è classificabile: non fantasy, non horror. E' un volume che declina il dolore all'insegna della morte e del sacrificio, spesso senza una ragionevole contropartita in cambio.

Anche i sentimenti umanamente più apprezzabili sono segnati dalla tragedia: così l'amicizia tra Bellis e Caius, così l'amore tra Rochelle e Buliwyf, così il rapporto poco delineato ma non per questo meno importante tra Gus e Mathis. Tutti rapporti spezzati, ostacolati, maledetti.

Un romanzo vergine di speranze concrete, dove l'unico significato della parola destino è morte.

La lettura è tanto piacevole quanto traumatica.

Stavolta non ho incontrato (quasi) nessuna difficoltà nello stile di Gl D'Andrea: non ho dovuto rileggere nessun capitolo per capirne il significato o il perchè della collocazione. Qualche frase qua e là sì, l'ho riletta un paio di volte, ma mi sento di precisare che l'ora tarda della lettura o lo stomaco vuoto possono aver condizionato la comprensione.

Lo stile mi è parso meno barocco, o forse, più semplicemente, il mio QI è passato da 0 a 1 nel corso di questi mesi.

Una cosa piuttosto antipatica però la devo dire.

Leggo, a pagina 39, questa frase: "Un infinito interminabile di attesa".

Questa l'ho capita (credo), ma non la condivido. Però, dato che SO bene che l'autore compie scelte e non errori (di norma...poi credo sia umano anche lui), vorrei proprio sapere come ha convinto quella Santa Donna di Silvia Torrealta a lasciare quella frase così com'è. L'infinito è interminabile per definizione, no? C'era proprio bisogno di specificarlo? Bene, è un'inezia, mi lascia quasi indifferente e non influenza in alcun modo la mia opinione sull'opera.

Il mio parare, infatti, è che il W2 sia dieci spanne sopra il W1. La storia adesso c'è tutta, la guerra è iniziata e se ne percepisce l'importanza e l'inevitabilità.

Caius finalmente acquisisce una personalità degna di nota e, Dio sia lodato, alcune sue (non) azioni descritte nel primo volume acquisiscono un senso. Ora sappiamo davvero un sacco di cose di Caius. Anzi, a dir la verità noi scopriamo di non sapere nulla di Caius. E questo significa sapere molto più di quanto sapevamo nel W1. Sì, Caius mi sta ancora un tantino sulle palle, ma ora i suoi contorni sono molto più definiti. Ora è un personaggio e non più una comparsa quasi fastidiosa.

In questo romanzo mi è mancato moltissimo Gus. Considerando l'evoluzione della storia nel corso del W2, questo potrebbe essere un problema. Potrebbe, ma non è detto: staremo a vedere.

Stavolta abbiamo qualche personaggio femminile in più rispetto a quanto visto nel primo volume. Alcune sono meteore, ma che lasciano il segno. Tutte, senza eccezione alcuna, sono l'emblema del sacrificio. Su questa cosa vorrei proprio riflettere con l'autore. Magari a breve, chissà.

Buliwyf: ah, come non capire l'amore incondizionato che la Rarefatta nutre per l'uomo e per la bestia, senza distinzione alcuna? Buliwyf mi piace, mi piaceva nel W1 e mi piace anche nel W2.

Devo dire che la mia simpatia nei confronti del personaggio è incondizionato come l'amore di Rochelle nei suoi confronti, non posso negare, infatti, di aver amato poco (molto poco) la reazione del bel (non è scritto da nessuna parte che è bello, ma io ho deciso che è bello, con buona pace di Gl) licantropo davanti a Primo. Evito spoiler, ma io Buliwyf non ce lo vedo che si comporta così. Ma forse mi è sfuggito qualcosa nelle vicende passate. Forse scoprirò qualcosa che mi farà cambiare idea nelle vicende future. O forse, più semplicemente, su questa cosa non condivido la scelta dell'autore. Sarà che quando ho la presunzione di aver capito un personaggio non sopporto che questo mi stupisca (soprattutto, come in questo caso, in senso negativo).

Pagine e pagine che grondano sangue e disperazione, senza tregua. Non c'è proprio nessunissimo spiraglio in quanto riportato nel W2.

Una cosa, lo devo ammettere, mi avrebbe reso la lettura ancora più piacevole: un po' di sano sesso. Perchè, diciamocelo, guerra, tortura, violenza, fame, odio...andrebbero di tanto in tanto intercalati a qualcosa di piacevole. E dato che la carne (putrefatta, infetta, maledetta, aliena, mutilata, torturata, liscia, sudata e chi più ne ha più ne metta) è forse una delle protagoniste del libro, un connubio con il sesso ci poteva anche stare. Almeno ci faceva tirare un sospiro di sollievo.

Ma gli amori che nascono e proseguono in questa trilogia sembrano proprio destinati a non vedersi concedere questo lusso: Rochelle non può toccare il suo amato senza ucciderlo, Gus è una chimera e non può interagire con Mathis (anche se lei un modo di interagire lo trova. Ma...) e Caius...beh Caius è forse il più sfigato di tutti (dico forse perchè a un certo punto del romanzo il Profeta bambino dice qualcosa che mi ha fatto drizzare le antenne) ma non posso dire nulla per evitare spoiler.

Io vi avverto, quindi: la lettura comporterà pianto e stridore di denti. Ne vale la pena.

martedì 4 maggio 2010

Romanzi passati, presenti e futuri

L'esercito dio Gaia è uscito negli scaffali delle Ipercoop di Ferrara: 40 copie in tutto, venti in un ipermercato e 20 nell'altro. Bene, sono contenta: almeno un po' di visibilità!

Oggi sono andata a comprare pollo e patatine per la cena e ovviamente sono passata dal reparto libri: dovevo vederle, le mie 20 copie!

La copertina è stata ritoccata e devo dire che è migliorata: il giallo della cornice e della scritta attira parecchio lo sguardo, soprattutto dei bimbi. Il problema era il posizionamento: un espositore (grande, devo dire) dedicato interamente agli scrittori ferraresi. Male, molto male. Ai ferraresi non frega niente degli scrittori concittadini, perchè di sicuro sono delle mezze seghe (dicono loro) (i ferraresi, intendo).

Ho preso tre copie e le ho messe di fianco a Geronimo Stilton, nel reparto per ragazzi.

Vedremo se il mio personale modo di fare marketing avrà più riscontro della fantasmagorica idea delle Ipercoop di fare un espositore apposito per i ferraresi.

Al momento non ho invitato amici e parenti e affini a comprare il mio libro: non avrebbe un gran senso, non è questo che uno scrittore vuole. Cosa vuole uno scrittore non mi è chiaro (no, Val, non credo sia la fama. Non solo la fama, almeno), ma di certo non vuole costringere amici e parenti e affini a comprare un libro che poi non leggeranno. Lo lascio lì a decantare: se venderà è perchè a qualcuno è piaciuto e magari l'ha detto a un altro, se non venderà può essere per parecchi motivi, uno dei quali la mancanza di appeal del libro.

Intanto "Il salvatore di anime" (che non dovrà mai nemmeno avvicinarsi allo scaffale di Geronimo Stilton, pena l'invio di un Caghoulard in libreria) è ufficialmente finito: non ci metto più le mani, non ritocco più i nomi, né il titolo, né sistemerò ulteriormente la trama. Il cordone ombelicale è stato tagliato, forse un giorno il io secondogenito letterario emetterà anche il primo vagito, chissà.

Non credo lo invierò a molte case editrici: forse 3 o 4, giusto per non sentirmi dire "non ci hai nemmeno provato". Opterò per strade diverse da quelle intraprese con L'esercito di Gaia; in primis lo metterò su internet non appena il sito sarà terminato, in secondo luogo ho contattato le uniche due agenzie letterarie che non chiedono denaro per valutare gli inediti. Se ne troverò altre, lo manderò anche a loro.

Dopo l'estate valuterò se spedirlo a qualche concorso letterario, ma di norma la presenza di un testo su internet implica l'esclusione da questo genere di cose.

Intanto procede il terzo romanzo, ormai a buon punto. E' una storia che nulla ha a che vedere col fantastico, anzi. Purtroppo tratta di temi reali: vivisezione, maltrattamento di animali, combattimenti illegali e altro ancora. A raccontare le vicende è la protagonista, perciò è scritto in prima persona, per di più al presente. Una sfida notevole per me, che ho sempre scritto in terza persona e al passato. Ovviamente non ho idea di quale sarà il titolo (avevo pensato a E.L.A. - esercito liberazione animali, ma pare riscuota ben pochi consensi), ma per quello c'è tempo. So già che mi serviranno minimo tre stesure.

Continuo a scrivere, quindi. Il perchè non lo so e non mi interessa.

martedì 27 aprile 2010

Miseria e nobiltà (dello scrivere)

Scrivo perché devo, perché è inevitabile, perché senza morirei, se non nel corpo, almeno nella mente. Scrivo e sono sempre orgogliosa di quello che scrivo mentre lo scrivo, a volte meno dopo che l’ho scritto, ma mai mi pento di aver scritto.

Scrivo e non so se lo faccio per me, per gli altri (ma quali altri, poi?), scrivo e basta perché abbiamo la testa già piena di domande e non m’interessa sapere per chi o perché lo faccio.

Sì, scrivo, e vorrei poter vivere di questo. Non credo che l’essere pagati renda meno nobile l’essere scrittori. Credo però che il pagare per farsi pubblicare renda misero e ignobile il proprio lavoro, seppur buono, seppur ben scritto.

Lotterò sempre, con le unghie e con i denti, così che se mai scriverò qualcosa di meritevole questo venga letto da tutto il mondo. Lotterò, appunto. Non corromperò né mi farò corrompere, perché questo non è lottare, è arrendersi.

Proverò ogni strada possibile, mi arrampicherò sui vetri, scalerò ogni montagna che incontrerò lungo il cammino, ma mai pagherò.

Perché da bravo soldato preferisco morire sul campo che essere fatta prigioniera. Meglio pulire i cessi che prostituirsi. Finchè potrò scegliere altre strade, le sceglierò. Quando le avrò provate tutte, e non sarò arrivata a nulla, riconoscerò la mancanza di talento, di appeal, di fortuna, di qualunque cosa possa servire per poter essere scrittrice ed essere pubblicata. Incasserò il colpo, e continuerò a scrivere con quella consapevolezza, ma con l’orgoglio intatto.

Perché i sogni, almeno quelli, non sono in vendita.

Avrò davvero pochissima comprensione nei confronti di coloro che hanno messo mano al portafoglio. Posso considerare le attenuanti dell’ignoranza in materia o dell’età, ma nient’altro. Chi paga per farsi pubblicare insulta il proprio lavoro e alimenta un mercato ignobile.

Io non ci sto.

Io sto con i miei personaggi, con le mie storie, con i miei titoli che non vanno mai abbastanza bene, con le mie sinossi mai abbastanza soddisfacenti. Sto con i miei romanzi quasi orfani di lettori, ma che amo profondamente e che non darò in pasto a gente che non si finge nemmeno venditore.

Truffatori.

Io non ci sto.

Piuttosto che dar soldi a questa gente lancio le mie cose su internet, lì dove ognuno sarà libero di farne quello che vuole. E’ gratis, non costa nulla se non un click. Mesi di passione scaricabili in pochi istanti. Ma dato che scindere passioni e vocazioni è oramai per me impossibile, chi vorrà potrà fare un’offerta libera a Gli amici di Gattone, la mia onlus, la mia seconda anima. Ormai ho deciso, e non torno indietro. Non mi spaventa per niente mettere i miei romanzi sul web. Un po’ perché le probabilità che qualcuno che non conosco lo scarichi e lo legga sono davvero poche, un po’ perché tutto sommato è nella natura di un romanzo l’ essere divulgato.

Il sito è quasi pronto. Jessica è con me. Daremo spazio a chi come noi ce la mette tutta (ma non sborsa soldi), ogni tanto busseremo alla porta di chi ce l’ha fatta (altrimenti ci viene la depressione!), esprimeremo opinioni (anche se la sezione si chiamerà recensioni...ma saranno opinioni, semplici e soggettivissime opinioni) e faremo informazione.

Forse non ci seguirà nessuno, ma non è importante. L’importante è battere anche questa strada. L’importante è divertirsi. L’importante è non arrendersi.

martedì 20 aprile 2010

Giustizia

Credo di conoscere i cani, di poter prevedere le loro reazioni. Invece no, loro mi stupiscono.

Forse l'avete visto, a Striscia, il servizio su quel casolare di Cuneo nel quale un ragazzone di 200 kg teneva (tiene??) gli animali in condizioni terribili, senz'acqua, senza cibo, a catene cortissime e senza riparo.

Il mitico Edoardo Stoppa alla fine del servizio ha ottenuto la liberazione dalla catena dei cani. E queste bestiole che hanno passato l'inverno legate, sotto la neve e senz'acqua, cos'hanno fatto appena liberate? Le feste. Sì, hanno preso a saltare e scodinzolare intorno ai carcerieri, ai torturatori, agli schifosi bastardi.

Perchè poi il cane è così: riconoscente, anche quando non avrebbe motivo di esserlo. Hanno a modo loro ringraziato il "padrone" per il meraviglioso dono della libertà, senza capire che la libertà non è un dono ma un diritto. Erano felici, quei cani.

Ma io voglio vederli felici lontani da lì, da quel ragazzone e da quel posto schifoso. Loro sono felici, ma a me non basta. Io vorrei un po' di giustizia. Giustizia per quei cani, per i bambini violati, per me, per le persone cui voglio bene. Giustizia per tutti coloro che stanno male e non lo meritano. Giustizia, se non umana, almeno divina.

mercoledì 14 aprile 2010

Le motivazioni del bello

Questo è un periodo brutto e bello allo stesso tempo. Lasciando da parte le motivazioni del “brutto” che sono più o meno le stesse di ¾ d’Italia (niente lavoro, niente soldi, poche prospettive), vorrei raccontare le motivazione del “bello”.

Sto portando avanti con la mia amica Jessica un progetto: un progetto tutto sommato non originale né innovativo, non è qualcosa di mai letto o mai visto, ma è comunque qualcosa di profondamente sentito. E’ quasi pronto, nel giro di qualche giorno il sito (esistono ancora progetti che non passano per il web??) sarà ufficialmente inaugurato. Contiene non solo le nostre fatiche letterarie (gratuitamente scaricabili, ma sarà data la possibilità a chi lo desidera di donare qualche centesimo alla ONLUS Gli amici di Gattone), ma anche le nostre opinioni e le nostre interviste. Le opinioni saranno riportate sotto la voce recensioni, ma sarà più per convenzione che per altro: non siamo critiche, siamo solo lettrici, e lo specificheremo per bene. Ma quello che più di tutti ci preme è far parlare di esordienti e gli esordienti (solo coloro che non hanno pagato le case editrici per pubblicare). Ovviamente non mancheranno nemmeno i nomi più noti (almeno nelle opinioni, non sappiamo quanti di loro accetteranno di rispondere alle nostre domande per le interviste) e grazie alla conoscenza di Jessica delle lingue straniere tenteremo di uscire dai confini per raggiungere anche l’estero.

Ma vorremmo fare anche un po’ di informazione, e nel blog non mancheranno post e articoli di moda, manga (questi li fa Jessica, io sono troppo ignorante in materia), animalismo (questi ovviamente saranno miei!) e tutto ciò che può essere culturalmente interessante o stimolante. Non sempre saranno articoli rigidi, un po’ di sano buonumore è indispensabile, ma avranno sempre di fondo un qualcosa da dire.

Il sito è visivamente piuttosto semplice e non sarà appesantito da immagini che rendono difficile la fruizione. Diciamo anche che io e lei non saremmo in grado di gestire un sito troppo complesso, ricco di moduli e immagini, ma noi siamo ancora convinte che il contenuto conti più del contenitore. Vedremo come andrà, in ogni caso la cosa mi rende felice e questo è quel che conta, soprattutto in momenti economicamente complessi.

martedì 13 aprile 2010

Week end con l'editor

Vi dirò qualcosa che io avrei voluto dicessero a me: se il vostro editor è donna, madre e moglie e quindi probabilmente una buona cuoca, e un bel giorno vi invita per un fine settimana a casa sua, beh, prima di partire osservate 3 giorni di digiuno; eviterete così di ingrassare 1 kg in 3 giorni.

Ciò detto, passiamo a qualcosa di molto piacevole.

Il paesaggio: ero a Buja, località collinare in provincia di Udine. In quei tre giorni, là, è stato primavera a tutti gli effetti: il venerdì c’erano 25 gradi, il sole ci ha sempre fatto l’occhiolino e ho potuto godere appieno dei doni che la natura riserva a chi passa da quelle parti.

Credo davvero che il contesto naturalistico abbia dato un impulso non indifferente alla mia scrittura. Sono infatti partita con il portatile, ma poco fiduciosa: ero arrivata a un punto del romanzo abbastanza critico, nel quale la vicenda si doveva snodare in una qualche direzione ma nessuna di quelle intraviste fino a quel momento mi soddisfaceva. Eppure, già il secondo giorno, mi sono seduta alla scrivania di Mattia (figlio ventenne di Silva, la mia editor, ovvero la mai madrina), ho acceso il pc e senza nessunissimo sforzo il mio personaggio ha creato una situazione nuova, inaspettata e che mi aggrada ben di più di quelle che mi ero prospettata prima di partire. Il tutto senza il minimo piano: semplicemente mi sono seduta e ho scritto senza sapere cosa sarebbe saltato fuori. Grazie quindi alle colline di Buja e all’ospitalità di Silva, che hanno incnsapevolmente sciolto i nodi della mia trama.

Ho potuto bearmi di un contesto nel quale si può parlare di cinema e letteratura con toni che passavano dall’ironico al serio passando per il critico: tutte le declinazioni del piacere, per quanto mi riguarda.

Ho visto posti molto belli, a volte tristemente sfregiati non solo dal terremoto degli anni 70 che ha lasciato cicatrici, ma anche da una certa dose di menefreghismo e ignoranza tipici non tanto dell’uomo quanto dell’uomo politico. Insomma, ero pur sempre in Italia, no?

Il cibo è di certo stata un’altra piacevole parentesi: Silva non ha mancato di mettere in tavola pietanze friulane, tanto buone quanto caloriche, ma ne è valsa la pena, ve l’assicuro.

In tutto questo la mia editor ha anche trovato il tempo di fare una presentazione della sua raccolta “Racconti dal Sottobosco” (collana Fiabetica, la stessa de L’esercito di Gaia), che è stata un successo: tanti bambini in sala, ma anche tanti adulti che hanno gradito le letture ben gestite dai volontari con copricapo a tema e accompagnamento musicale. E non poche copie sono state vendute: anche questo è un successo, dico bene?

Il ritorno a casa non mi lascia solo 1 chilo in più in corpo e qualche specialità friulana in frigo: mi lascia anche un’esperienza stimolante e piacevole, condivisa con persone squisite. Su di loro non mi dilungherò oltre: ci sono cose che anche uno scrittore preferisce tenere per sé.

giovedì 8 aprile 2010

La differenza che c'è tra lite coniugale e violenza domestica

Voglio il porto d’armi chiaramente non per andare a caccia, essendo io animalista. O, quantomeno, non per andare a caccia di animali. MA dopo quanto accaduto stanotte, io ammetto candidamente di sentirmi più sicura con un’arma a portata di mano. In casa non ho bambini, rischi non ce ne sono. Mio padre può darmi tutte le dritte necessarie per non fare cazzate.

Ma cosa è successo? E’ successo che stanotte ho chiamato il 113. In tanti anni non era mai capitato che nel mio condominio si giungesse a tanto. Anzi, in tanti anni nel mio condominio non è mai successo proprio niente di niente. Al massimo una grigliata di carne non autorizzata in cortile.

Invece stanotte è successo qualcosa che io reputo gravissimo. Tornata a casa dal mercoledì letterario in compagnia di Jessica, entro in casa e mi infilo il pigiama. Tempo 10 minuti e i vicini di casa (che sono di colore, e se volete darmi della razzista per questa puntualizzazione fate pure) hanno iniziato a sbraitare come bestie. Che uno dice, capita. Sti cazzi! Penso abbiano semidistrutto l’appartamento a forza di prendersi a mazzate, ma il culmine l’hanno raggiunto quando lei è scappata nel pianerottolo invocando aiuto con disperazione e paura. A quel punto ho chiamato il 113, impaurita quasi quanto lei.

So che ve lo state chiedendo: come hai potuto, Giulia, non aprire la porta e accertarti di quanto stava accadendo? E se lei era ferita?

Sapete che vi dico? Se lo pensate è perché non vi siete mai trovati nella mia situazione. Ho pensato che se aprivo la porta due noci in faccia me le sarei prese pure io, ma nella peggiori della ipotesi lui poteva anche essere armato! Anche un frammento di vetro o un coltello da cucina sono armi, e possono far male e uccidere.

Insomma, ho chiamato le forze dell’ordine (sono stata l’unica!!) che sono arrivate qualche minuto dopo.

A quel punto ho sentito la ramanzina (“qua i vostri vicini devono dormire!”), la richiesta dei documenti e via discorrendo. Lei ancora gridava e piangeva. Poi i poliziotti sono andati via, e i due hanno ripreso a urlare. Quindi, io ho richiamato. Ecco la telefonata:

io: “ Pronto, sono sempre io, l’inquilina di via xxx...”

loro: “Sì, che c’è? Siamo appena andati via!”

i: “Ma hanno ricominciato a litigare! Urlano come bestie!”

l: “Senta, è una lite coniugale, che dobbiamo fare?”

i: “Tornate! Io sono in casa da sola!”

l: “Eh, mica è colpa nostra se lei è in casa da sola!”

i: “....”

Fatto sta che i poliziotti mi hanno detto di non scassare le palle (in altri termini, ma il senso era quello), e io non ho chiuso occhio. Dopo un po’ è sceso il silenzio, credo che lui sia andato via di casa.

Stamattina sul MIO pianerottolo davanti alla MIA porta ho trovato delle gocce di sangue. Alla faccia della lite coniugale, cazzo!

martedì 30 marzo 2010

Quella è la porta

Una sgobba tutta la vita, 365 giorni l’anno, 12-15 ore al giorno, per uno stipendio da fame e chiaramente in nero. Poi arrivano le rumene che fanno le badanti, e allora cambi mercato e passi al babysitting (pochissime mamme affidano i figli a delle straniere), lavori 6 giorni anziché 7, ma lo stipendio cala vistosamente. Poi però arriva la crisi, e le mamme si affidano a nonne e asili. Così, a 55 anni, ti ritrovi senza lavoro. Da agosto 2009. Mandi curriculum ovunque e a chiunque e ti rendi disponibile a qualsiasi lavoro per qualunque paga e accetti ogni condizione. Eppure, sei fuori mercato.

Non posso nemmeno pretendere che mia madre in tutto questo riesca a mantenere un certo equilibrio mentale, per forza di cose si è rotto qualcosa. In 8 mesi abbiamo dilapidato praticamente tutto quello che avevamo risparmiato in passato, e a conti fatti ha i risparmi necessari a pagare altri 3 mesi di affitto. Poi, l’oblio.

Mi sono cavata gli occhi dalle orbite per trovarle un lavoro sui siti internet, ma ad ogni annuncio c’erano mediamente 30-40 candidature. I giovani hanno la precedenza, e lei sempre in fondo.

La domanda per avere un alloggio a canone agevolato al comune è stata fatta decenni fa, rinnovata ogni anno e ogni anno gli stranieri con le loro vagonate di figli hanno la precedenza. Per carità, i bimbi devono avere un tetto sulla testa. MA quando ero bimba io, la casa ci è stata ugualmente negata. E adesso ho 26 anni, un mutuo, una casa da tirare su e arredare, una vita da costruire e anche qualche sogno nel quale vorrei investire. Ora come ora riesco a pagarle metà affitto, metà spese condominiali e una spesa al supermercato al mese (vivo ancora con lei in attesa che la casa sia finita).

Credo che questo sia il ritratto della situazione economica di buona parte degli italiani, e mi va anche di lusso, dato che io e Davide almeno lavoriamo e lo stipendio è certo. Mio padre non è messo meglio di mia madre, anzi (i miei non sono mai stati sposati, ognuno ha la sua vita).

Quale futuro per noi? Sono preoccupata, e molto. Adesso volevo far andare mia madre a Torino per qualche settimana, da una zia alla quale è molto legata, e ci troviamo a fare i conti con i costi dei biglietti dei treni e del taxi per capire se, andando là ospite, la spesa del viaggio è superiore a quello che spenderebbe se restasse qua dovendosi mantenere. E’ molto umiliante per lei, e me ne rendo conto. Sta pagando gli errori del passato, ma mi chiedo se gli interessi giungeranno mai al termine, o se il suo debito è destinato a perdurare ancora per molto. Intanto navighiamo a vista, attendendo una telefonata, una proposta, anche solo 400 euro al mese ci consentirebbero di superare l’estate con l’affitto. Ma la barca sta incamerando acqua, e noi non sappiamo nuotare.

martedì 23 marzo 2010

Piani

Il fatto che sul mio diploma, accanto a ragioniera, ci sia scritto anche programmatore è un caso come il Chievo in serie A (questa è di J.Ax). Non so una beneamata sega di informatica, questo mi penalizza? Sì. Mi ferma? Manco a parlarne. Allora, io e la mia friend Jessica abbiamo un piano. Il piano è il seguente: diventiamo ricche e famose grazie al nostro talento, poi salviamo il mondo. Bene, mi pare che il piano non faccia una piega. Ora serve un piano per far funzionare il piano: come diventiamo ricche e famose grazie al nostro talento?

Partiamo dal talento: io e lei scriviamo romanzi. Che talento del cazzo, direte voi! In effetti diventare ricche e famose con la scrittura è cosa pressoché impossibile. Però io e lei abbiamo un qualcosa in più: la passione, quasi ossessiva, per quello che facciamo. Aggiungete anche che abbiamo qualcosa da dire attraverso le nostre storie, e otterrete una determinazione fuori dal comune. Me la tiro? No, non ho detto che sono la più grande scrittrice di tutti i tempi, dico solo che se mi ci metto posso farcela perché le basi (passione, ossessione, qualcosa da dire) ci sono. Idem per Jessica.

Come abbiamo intenzione di procedere? Abbiamo già scartato varie ipotesi, tra le quali l’impacchettare i manoscritti e inviarli alle C.E.

Stiamo riflettendo un po’ sul ruolo dell’agente letterario, ma tante, troppe, fonti ci dicono che anche qui il tranello è dietro l’angolo: se chiedono soldi per leggere, difficilmente ci rappresenteranno. Sono lieta (si fa per dire) di annunciarvi che praticamente non esistono agenzie letterarie che non chiedono soldi per valutare testi. Chi ne chiede 100, chi 400 e chi 600 (che mi sembrano proprio tanti!), ma tutti vogliono vedere gli eurini prima del file del romanzo. Indi: strada difficilmente percorribile senza incappare nell’inculata (scusate il francesismo).

Allora io e Jessica abbiamo optato per la seguente tripletta di soluzioni da seguire in contemporanea:

1 – mandare i romanzi a Writer’s dream che seleziona gratuitamente (!!!) i testi per una casa editrice di e-book;

2 – rivolgersi a Vibrisse, anche loro selezionano gratuitamente (!!!) testi per e-book e ricercano case editrice per i testi prescelti;

3 – ci apriamo un sito internet dove mettiamo i nostri lavori (sotto licenza) a disposizione dei lettori (gratis).

Per i primi due punti non ci sono problemi, ce la caviamo. Per il terzo siamo due mezze frane, ma anche lì risolveremo qualcosa. Pensavo a un blog, ma è restrittivo, vorrei qualcosa di più...di più.

Questo è il piano per far funzionare il piano. A quel punto mi darò da fare (più di adesso...non è che finora sono stata proprio con le mani in mano) per cambiare questo mondo di merda.

mercoledì 17 marzo 2010

Libri maturi.

Ho scritto due romanzi e ne sto scrivendo un terzo: sono tutti di generi differenti. Diciamo che se i primi due potevano essere quantomeno simili (fantasy il primo, urban fantasy il secondo), il terzo non c’entra una cippa lippa con i precedenti (non c’è nulla di fantastico). Mi chiedo: può questo essere un sintomo d’immaturità? Forse lo scrittore maturo, quello pronto, è anche quello che ha un suo genere e che lo sente suo con una certa esclusività. Ci sto pensando da qualche giorno (da quando GL ha iniziato a pubblicare i post sulla sua esperienza editoriale), e non ho ancora trovato una risposta. Anche il pubblico dei lettori è diverso da libro a libro: il primo è per l’infanzia, il secondo per ragazzi (giovani adulti) il terzo ancora non lo so (potrebbe non avere un pubblico target, lo scoprirò alla fine. Perché io scrivo storie, non storie per).
Quindi io non ho un “genere” di riferimento. Al massimo ho qualcosa da dire, e uso una storia per comunicarla, una storia della quale devo innamorarmi all’istante.
Ma d’altra parte, quando questi personaggi sfondano la porta del mio cervello, posso io invitarli a uscire adducendo strane scuse relative alla necessità di impacchettare una storia di “genere”? Potrei anche provare, in effetti. Potrei ignorarli nella speranza che se ne vadano dalla mia testa. Ma perché farmi della violenza?
Eppure, mi chiedo anche: perché le mie idee sono così diverse l’una dall’altra? Perché non hanno una linea comune? Forse non sono pronta. O forse non serve appartenere ad un “genere” per essere scrittori. Chissà.

Ps
piccola soddisfazione che vi posto qua

venerdì 12 marzo 2010

Inediti? No comment.

Io non sono nessuno in ambito letterario/editoriale, ciò nonostante ci “bazzico” un po’. Rispetto all’ultima volta che mi misi a cercare un editore (circa tre anni fa, forse un po’ di più) le cose si sono ulteriormente complicate, a mio parere. Però, forse, questa percezione è data anche da una maggiore consapevolezza. Ad esempio adesso non me lo sogno nemmeno di prendere il mio bel malloppone di 110.000 parole e spedirlo alle medie e grandi case editrici, perché è una perdita di tempo e di denaro. Ne sono e ne resto convinta, nonostante in qua e là qualche anonimo addetto ai lavori assicuri che nella loro casa editrice “tutti i manoscritti vengono visionati, uno per uno!!”. Io non ci credo, e non ci credo perché ritengo davvero improbabile l’eventualità di aver contattato TUTTE le case editrici (non a pagametno, s’intende) fuorché la loro. E come so che non leggono inediti? Beh, glielo chiedo. Alzo la cornetta e mando mail (di solito faccio entrambe le cose, così, per star sicura) chiedendo SE accettano inediti in lettura. Fino a tre anni fa la risposta era che no, l’enorme quantità di manoscritti pervenuti in redazione non consentiva l’accettazione di nuovi lavori. Oppure mi informavano che il loro catalogo era già straripante di novità fino alla venuta dei Cavalieri dell’Apocalisse. Oppure che proprio per loro politica non accettavano inediti (Feltrinelli, ad esempio).
Ora queste stesse case editrici non hanno nemmeno più il tempo di rispondere a una domanda di due righe, e tacciono. Una, solo una, mi ha mandato una mail vuota, con allegato un documento word di una riga e mezzo nella quale si dice che non hanno modo di prendere in esame nuovi scritti. Firmato: editore Marsilio. Fino a tre anni fa era una persona fisica che mi rispondeva, e si firmava magari Sara, o Marco, o Fabrizio. Adesso no, Editore Marsilio. Anche per dire che non si accettano inediti usano una e riga e mezzo di roba preconfezionata. Questo mi fa capire quanto sti poveretti siano sommersi di manoscritti. Non hanno nemmeno il tempo di digitare sulla tastiera le dieci parole sufficienti a dirmi no. Almeno prima avevo l’impressione di aver a che fare con esseri umani, adesso ho a che fare con “firmato: Editore Marsilio”. Io ci credo quando mi dicono che non hanno materialmente il tempo e il personale da dedicare alla pesca a sorpresa dei manoscritti, ci credo fermamente. E quindi? Che si fa?
Lo stare con gli animali, soprattutto cani, mi ha insegnato tante cose, una di queste è che quando un metodo non funziona è molto stupido accanirsi con quello. Pensiero lato: bisogna cambiare strategia. Se il cane non riconosce il comando “seduto”, allora devi cambiare due cose: il metodo (non impara con le pacchette sul sedere? Allora le pacchette sul sedere sono inutili) e il comando (non riconosce il seduto? Allora quel comando non va bene). Soluzione: sussurragli all’orecchio la parola “giù” ogni volta che il cane è seduto casualmente, premiarlo con un biscotto e il gioco in breve tempo è fatto.
Cosa mi rivela questo? Che contattare personalmente le case editrici non porta a una cippa lippa.
“Ma Licia Troisi ha spedito la trilogia a Mondatori e Sandrone Dazieri l’ha incoronata regina del fantasy italino!!”
Certo. Erano altri tempi, però. E lei ha avuto anche un pochetto di culo. Voi siete persone che hanno culo? Io no, perciò non ci conto troppo.
Soluzioni?
Concorsi letterari e internet. I primi sono tanti, ma quelli dedicati ai romanzi sono pochi e quelli che davvero offrono uno spiraglio sono ancora meno. Eppure bisogna insistere.
Internet: oh, qua casca l’asino. Leggo sul blog di Lara Manni che esistono licenze che tutelano il proprio lavoro anche se pubblicato su internet, e anche Gianrico ne aveva parlato sul suo blog. Credo sia una buona strada.
Quella della piccola casa editrice che pubblica gratis la sto già provando con il primo romanzo, adesso voglio sperimentare nuovi sentieri. Male che vada mi perdo e torno indietro, ma sono abbastanza convinta di non cadere in un precipizio. Esiste anche la possibilità di scoprire nuovi panorami godibili solo attraverso questi nuovi sentieri, no? Allora, a giugno, quando scadranno i concorsi (ben 2...) cui ho spedito il romanzo e sarò quindi libera di fare col testo quello che mi pare, penso che lo metterò in rete, ovviamente gratis (ciò non toglie che chi desidera potrà fare una donazione alla ONLUS Gli amici di Gattone o Le Muse). Perché scrivere vuol dire soprattutto comunicare, e non necessariamente pubblicare. Tutto sommato, se si trova il modo di comunicare anche senza pubblicare, non c’è niente di male. Ovviamente, bisogna avere qualcosa da dire. Ma questa è un’altra storia.

lunedì 8 marzo 2010

La forza di chi è considerato debole

Sensibilità. Ogni volta che racconto a qualcuno quello che faccio per gli animali, I progetti futuri in quest'ambito, le sconvolgenti verità che nessuno conosce sul campo, salta sempre fuori questa parola: sensibilità.
"Siete più sensibili, voi donne."
Sarà anche vero, e allora? Io sono sensibile e tu sei insensibile e indifferente, chi dei due ha qualche problema?
Piangiamo di più? Può essere, ma prima dopo e durante il pianto tante di noi fanno qualcosa per impedire ad altri di piangere. La sensibilità ci rende più forti, al contrario di quel che tutti credono. Perchè è la sensibilità a spingerci ad agire. L'indifferenza, quella che fa dell'uomo un "macho", spinge solo a condurre la propria vita sterile, e non c'è niente di più inutile. Se sei insensibile eviterai di aiutare gli altri, perchè non te ne fregherà niente. Se sei insensibile non lotterai mai per cambiare quello che non va, perchè ti è indifferente. Se sei insensibile ti crederai forte, e invece sarai un codardo, perchè nessuna battaglia ti interesserà veramente, e quindi dove sta la tua forza? Nel non combattere?
Non siamo deboli, noi donne. Non dobbiamo essere difese nè salvate nè salvaguardate più degli uomini. Siamo persone, e i diritti delle persone sono uguali per tutti, non ce ne sono di speciali per le donne. E' per questi diritti che ci battiamo, e il fatto in certe società ce ne siano di meno o che non ce ne siano proprio per le donne non fa di noi delle creature deboli e indifese. Non serve fare il soldato per essere più forte. La forza è un'altra cosa, e non ci manca di certo.
La festa della donna non ci deve ricordare certo che siamo migliori (non è così, non necessariamente), nè a ricordare all'uomo che siamo dei fiorellini candidi. Serve per ricordare a tutti, uomini e donne, che da qualche parte ci sono ancora società nelle quali la parità dei sessi è un'utopia. Parità: non siamo nè meglio nè peggio. La nostra forza si esprime diversamente da quella dell'uomo: questo non fa di noi delle vittime, fa di noi delle creature che lottano per scopi a volte uguali a quelli degli uomini e a volte no, ma spesso con mezzi diversi. Spesso, non sempre. Perchè non siamo speciali. Si parla di grandi numeri, ovviamente. Ci sono donne orribili e uomini straordinari. In generale è vero che la donna è più sensibile, e io lo vedo dal database sempre aggiornato dei volontari italiani: 98% donne. Donne come me (senza modestia, ecchecazzo!) che si macinano km su km da sole, a volte di sera, a volte durante proibitive giornate invernali o festive, per far attraversare la penisola a dei cuccioli e salvare loro la vita. Che si alzano presto tutti i sabati e tutte le domeniche (dopo un'intera settimana di lavoro lontano da casa) per andare al canile e fare la propria parte anche quando nevica, quando fa freddo, quando è festa, quando si è stanchi da morire. Che passano il tempo libero (poco) (e che poi libero non è) a scrivere, divulgare, condividere, leggere e approfondire appelli che straziano il cuore. Che raccolgono brandelli (letteralmente) di animali investiti dalla strada. Che mettono mano anche al portafoglio (perchè sul cuore siamo tutti capaci) per salvare qualche creatura. Che trascurano la propria vita (e quella di chi si ama) per aiutare i figli di un Dio minore.
Tutto questo senza mai scordarsi di chi è debole e solo e indifeso ma che non ha la coda e non ha la pelliccia, ma che ha due gambe e appartiene alla categoria degli esseri umani. Tutto questo senza risparmiarsi anche per quelli della propria specie. Tutto questa senza mai smettere di essere anche donne, mamme, mogli, professioniste, casalinghe. Senza comunque smettere di vivere: perchè non ci basta esistere, noi vogliamo anche vivere.
Questa è forza. Siamo forti. Molto forti. Forti da far paura.

lunedì 1 marzo 2010

Maestra pancreatite

L'ho conosciuta nel 2006, e quella notte ho conosciuto di conseguenza il vero dolore fisico. Certo, ci sono miliardi di cose molto dolorose, ce ne sono una discreta quantità di più dolorose, ma non sono poi così tante e soprattutto sono abbastanza inusuali. La pancreatite, per intenderci, è molto più dolorosa di una qualunque colica renale e molto probabilmente è riconducibile ai dolori di un parto naturale, ma non porta con sè nè la consolazione di una buona causa nè la speranza di un futuro ricco di soddisfazioni derivanti dal nascituro. E' un dolore fine a sè stesso, profondo, che circonda il busto e sembra stritolarti in una morsa abbastanza potente da toglierti il respiro ma non abbastanza insistente da spaccarti il corpo a metà. E', soprattutto, un dolore bastardo. Bastardo perchè bussa alla porta di giorno, ti tedia ma con discrezione, come un tarlo, ma è abbastanza sopportabile da non allarmarti. Così vai a lavorare, lamentandoti del mal di schiena come una pensionata al supermercato, poi esci con la cugina, e vai all'ipercoop accennandole a quel fastidio all'altezza dei reni e del fianco destro, ma non ti preoccupi. La sera sei sola, perchè la mamma fa la notte e sai che il fidanzato ha la partita di calcetto. Però il mal di schiena comincia a essere un po' troppo fastidioso e quindi, in un'incredibile slancio di prudenza, telefoni a Davide prima che vada al campo di calcio e ti fai portare un tubetto di Voltaren. Il fidanzato, premuroso ma rassicurato dalla tua autodiagnosi (colpo della strega) ti spalma con amore il Voltaren, promette di lasciare il cell acceso durante la partita e poi va a giocare. Ed è mezz'ora dopo, che il dolore bastardo ti assale. Su quel divano, che è sempre stato uno scomodo portatore sano di cervicale, ora non resisti più. Muovendoti come un reduce da capottamento in automobile, ti alzi e vai a letto, dove di certo starai più comoda. Dove di certo il dolore si affievolirà. Ed effettivamente riesci addirittura ad appisolarti. Ma questo perchè il dolore è un bastardo: ti fa abbassare le difese, si accerta di coglierti di sorpresa, prima di attaccare. E quando attacca lo fa con la gendarmeria più pesante, in un'ondata unica e fitta e travolgente e soffocante, senza pietà, improvviso e sorprendente come solo il nemico più infimo e calcolatore può fare. E tu, inerme su quel letto, perdi tutto d'un colpo la pochissima lucidità che il dormiveglia ti aveva risparmiato. Senti che respirare equivale a piantarsi un coltello tra le costole, che piangere è impensabile perchè lo singhiozzare causa scosse dolorose allo stomaco che ti sembra venga preso a calci, che la sola idea di alzarsi per andare a prendere il cellulare ti può far svenire dal dolore. Perchè non sai cos'altro possa farti male, muovendoti. Se l'immobilità t'inchioda al letto in preda a ondate di fitte che a malapena ti consentono di respirare, cosa ti può accadere se ti alzi? Eppure, vuoi davvero passare la notte lì, da sola, con la compagnia di quel dolore bastardo? E allora ti alzi. Ti alzi e scopri che in piedi stai meglio, che puoi respirare anche se molto, molto, molto lentamente. Che se inali l'aria per uno massimo due secondi, i polmoni non esplodono come li avessero riempiti a dismisura. Sì, in piedi puoi resistere. Quando componi il numero di casa di Davide, e dall'altra parte senti la voce di tua suocera, scopri che anche piangere è diventato sopportabile, ma che ora che hai finalmente la libertà di singhiozzare, non hai la lucidità di parlare. Allora senti la voce del tuo fidanzato, che ha già capito tutto, e che dopo venti secondi sta già volando da te.
Poi inizia un lungo calvario, un ricovero sciagurato, una diagnosi scritta sugli esami del sangue che però, incredibilmente, i medici sembrano non saper leggere. Eppure è scritto a grandi lettere: amilasi pancreatica oltre dieci volte il massimo consentito. Ma no, la paziente è astemia, normopeso, giovane. Allora via, con le risonanze magnetiche. Nessuna malformazione. Poi un susseguirsi di ipotesi. Ma non è importante. Non è quello che conta. Conta la paura, perchè la notte quel dolore bastardo non si calma nemmeno dopo 3 dosi di antidolorofico (prima la pastiglia, poi le gocce, infine l'iniezione), e lo si mette a tacere solo con le flebo. Ecco, quelle sì, funzionano. Però niente cibo, perchè se anche non senti più dolore, i valori vanno alle stelle appena butti giù un chicco di riso. E così, per due settimane.
La pancreatite è stata maestra. Di dolore? No. Di spirito di sacrificio? No. Di pazienza? No. Di fede? no. Di amore? Sì.
Perchè lì, distesa sul letto (sollevato a 90 gradi, perchè poi la pancreatite ha gravi ripercussioni sullo stomaco anche se vuoto), ho sentito Davide che mi diceva: "Vorrei poter essere al posto tuo, per risparmiarti tutto questo". Ecco, gli ho creduto. E gli ho creduto perchè io mai e poi mai avrei voluto fare cambio, mai e poi mai avrei voluto vedere lui al mio posto, a lottare contro un male che avrebbe avuto un nome solo due settimane dopo. Fossi stata al suo posto, avrei provato un dolore ben più profondo, probabilmente. E quindi non so dire se il nostro fosse solo amore o se ci fosse anche una punta di egoismo. Non so dire se la persona innamorata si renda conto di quanto l'anima soffra ben più del corpo. Uno poi lo capisce a posteriori, perchè mentre le vivi, certe vicende non ti consentono di mantenere la lucidità. Ma ancora una volta, quello che conta è un'altra cosa: in quel momento sei convinto che il dolore fisico sia la peggior cosa che possa capitare al partner, e allora non vuoi fargli conoscere quell'esperienza. Forse sei convinto che l'altro ti ami un briciolo di meno, e che quindi il male che deve sopportare la sua anima mentre ti vede soffrire fisicamente sia ben più sopportabile di quello che dovrebbe sopportare il suo corpo. E' un errore, ma lo scopri poi dopo, col tempo, quando sono passati almeno tre anni e anche il fastidioso e debilitante decorso post ricovero è pressochè superato e puoi tornare a mangiare e uscire senza temere di star male da un momento all'altro (magari dopo aver mangiato una patatina fritta). Ecco, dopo, vedi che le ferite dell'animo del partner non sono superate, e che siccome la tua pancreatite non ti abbandonerà mai...non abbandonerà mai nemmeno lui.

lunedì 22 febbraio 2010

Sanremo, secondo me.

Non mi scandalizzo di fronte alla vittoria di Valerio Scanu. Dico sul serio, tutto sommato credo che sappia cantare, non ha stonato, ha studiato e ha portato una canzone forse banale (ma perchè, ce n'erano forse di innovative? Di mai sentite? Di rivoluzionarie?), ma che tutto sommato è orecchiabile, mi piace soprattutto la melodia di base. Il pianoforte iniziale poi lo trovo carino. Che vi devo dire, a me non dispiace che abbia vinto. Ha 19 anni, tanti sogni nel cassetto e la capacità di cantare davvero bene (l'ho sentito in altre performance ed è proprio bravo, secondo me), e allora va bene che abbia vinto lui. Se vinceva Marco Mengoni mi andava bene uguale, idem per Malika e Noemi. Lo scandalo è chiaramente il principe. Ora, io Sanremo non l'ho seguito per niente, se non attraverso internet e telegiornali. Però, però, però.
Però non posso non chiedermi che caspiterina c'entra un'intervista stile Porta a Porta a Bersani e Scajola da parte di Costanzo. Potrei soffermarmi anche sul fatto che c'erano ospiti 3 operai di Termini imerese (ribattezzato da mamma Mara "Termini RIMINESE). Anche loro, con tutto il rispetto, che c'entrano? Non era la sede. Costanzo è completamente rincoglionito, e chi gli dà corda in quel modo lo è quanto lui.
L'ospitata di J.Lo invece ha un suo perchè, così come Susan Boyle e quell'altro rapper nero molto famoso ma di cui mi sfugge il nome. Loro hanno un posto nella manifestazione...ma gli altri? Boh.
Antonellina Clerici: forse doveva mettere gli occhiali perchè quando leggeva (dal gobbo?) gli annunci dei cantanti sembrava una bimba delle elementari. Incartata di brutto. Per il resto bisogna ammettere che s'è trovata in diretta in qualche situazione particolare (fischi dalla platea, orchestra che protesta, Costanzo che pensa di essere Vespa ecc...), e che dato che di Pippo Baudo non se ne può più bisogna accontentarsi. Almeno non ha annunciato in diretta la ricetta per cucinare i gatti (Bigazzi...sei proprio scemo!).
Le canzoni: ne ho sentite poche, però a mio modestissimo parere sono più belle di quelle dell'anno scorso, o quantomeno quelle carine sono più numerose. Le canzoni di Irene Grandi, Noemi, Scanu, Mengoni, Malika sono carine...dai l'anno scorso erano di meno! Non ho volutamente nominato Povia, perchè lo odio, lo trovo un leccaculo allucinante e mi stupisco che i soliti buonisti ipocriti e rimbambiti italiani ci caschino ancora. Sveglia!!!
Detto questo sono felice che Sanremo sia finito. La prossima volta voglio la mia Paoletta su quel palco. E la voglio con la statuetta in mano.
Vado a fare l'amore in tutti i laghi. Au revoir.

mercoledì 17 febbraio 2010

Tortura e indifferenza.

Si arriva a sera, magari stanchi, dopo una giornata di lavoro (o peggio: una giornata spesa alla ricerca di un lavoro che non c'è), una giornata di sogni infranti, di fatica, di falsi sorrisi dispensati a chiunque pur di portare a casa la pagnotta, e tutto quello che vorresti è poter leggere una buona notizia. Ad esempio, che il canile di Tricase è stato svuotato e tutti i cani adottati, che Pagliaccio ha trovato una famiglia che lo ama, che è finalmente resa illegale anche la vivisezione sui gatti (lo sapevate che in alcuni casi è consentita??), che in Spagna si sono improvvisamente risvegliati con un grande senso civico e hanno cambiato la legge che impone la soppressione dei cani detenuti nelle perreras...invece no...invece leggi che c'è ancora gente orribile che si filma mentre tortura con tacchi a spillo un cucciolo di cane, portandolo alla morte. Come se non bastasse, tra i commenti trovi qualcuno che con immensa sensibilità ed evidentissima capacità di comprensione e analisi si scandalizza di tanta attenzione per una notizia sugli animali...scherziamo? Un intero articolo di giornale sulle atrocità commesse su una creatura non umana? Tutto questo nuoce gravemente all'economia mondiale! Scandalizzarci e schifarci di questo accadimento che ha coinvolto un povero cucciolo comporta la morte di almeno 10 bambini in Africa! E vogliamo parlare della crisi economica? Avete idea di quanto questa notizia (con relativi commenti di condanna verso l'atto ignobile della tortura) possa far sprofondare le borse di tutto il continente?
Io non posso davvero crederci. Sono schifata di certo dalla notizia della prolungata agonia imposta al cane (il video nemmeno l'ho guardato...ho già visto troppo), ma non so più dire se mi spaventa maggiormente il sadismo dell'essere umano che si accanisce su un essere vivente, o la totale indifferenza di altre persone di fronte a questo evento. Perchè ci stiamo abituando a tutto, capite? Perchè non possiamo perdere nemmeno un secondo a provare un'infinita pena per quell'anima innocente brutalizzata...dobbiamo pensare al crack delle banche inglesi! Dobbiamo pensare ai nostri politici che sperperano il denaro pubblico per andare a trans! Dobbiamo pensare che il mercato del lavoro va alla deriva e noi tutti con lui! Dobbiamo sempre e solo pensare alle uniche cose che contano davvero al mondo: l'economia e la finanza, se poi vogliamo proprio guadagnarci un posticino in paradiso possiamo lanciarci in un atto di infinito buonismo (ipocrita!) e ricordarci che in giro per il mondo esistono una manciata di milioni di persone che crepano di fame.
Fine.
Guai a soffermarsi su un altro aspetto che sta andando alla deriva: l'animo umano. No, a che ci serve una coscienza intatta? A che ci serve un'anima pura? Mica ci danno il pane, quelle!
Meglio pensare alla bolla immobiliare di Dubai, vero?
Perchè chi se ne frega del cane...se muore ce ne sarà uno in meno per strada, e 50 cent in meno che lo Stato dovrà passare ai canili per il suo mantenimento (così con quei 50 cent un qualche politico potrà offrire un caffè alla escort di turno).
Non c'è più posto nei nostri pensieri per chi non ha voce. Non c'è più posto per chi non può gridare la propria disperazione, per chi non ha gli occhi di un bambino (ma anche per loro, purtroppo, comincio ad avere qualche dubbio), per chi, semplicemente non è umano, civile. Per chi non ha un conto corrente. Per chi non sa cosa sia Dubai. Per chi non ha almeno un fondo d'investimento.
Che schifo.
E resto della fermissima convinzione che non è necessario amare gli animali e adottarne tanti o fare volontariato al canile per essere una brava persona. Però chi odia e disprezza gli animali, odia e disprezza i più deboli e indifesi. Ma a volte, anche le persone possono essere deboli e indifese: quindi queste terribili torture sono toccate a un cane solo per puro caso. Sarebbe potuto essere un bambino, un portatore di handicap, un senzatetto. Chi fa del male agli animali, è pericoloso anche per le persone.
Ma la cosa più importante è che ENEL ha indetto un'offerta pubblica di vendita, che la borsa è positiva e che anche oggi il pasto è garantito.
Infinita tristezza.

venerdì 12 febbraio 2010

Gli errori del principiante

Credo di averli fatti più o meno tutti, e quelli che non ho fatto prima li farò senz'altro adesso, con il nuovo romanzo. Gli errori si possono commettere in tutte le fasi di un lavoro letterario, dal momento in cui nasce all'idea a quello in cui si cerca di pubblicare la storia.
In fase di stesura, ad esempio, scrivo aggettivi ovunque. Aggettivi inutili, ridondanti, fastidiosi e a volte anche ridicoli. Quando vado a rileggere per la prima volta la stesura mi chiedo davvero com'è possibile che io ne abbia buttati lì così tanti. E allora si parte con l'amputazione, a volte dolorosa, ma sempre e comunque indispensabile. Alla fine, sarò onesta, temo sempre di averne lasciato qualcuno di inutile in qua e in là.
Un altro errore che commetto di sicuro è quello di far dirigere il gioco ai personaggi, che sono molto indisciplinati. Inizialmente parto sempre con l'intreccio più o meno chiaro, per giungere alla fine e ritrovarmi una storia fortemente diversa. Questo perchè io sono solo il braccio, la mente è data dall'insieme dei personaggi che fanno quello che vogliono. L'errore non sta tanto in questo quanto nel fatto che poi ci sono deus ex machina da correggere, contraddizioni, passaggi poco chiari. Quindi, dopo l'amputazione degli aggettivi, serve un'altra stesura per sistemare tutte queste beghe.
Un altro errore tragico è il cadere in paranoia: siamo sicuri che al mondo non sia stata scritta una storia simile? Non è che poi mi accusano di plagio? E i nomi dei personaggi non saranno troppo evocativi di storie altrui? Forse la mia storia non è abbastanza originale! Forse è troppo fantasy! Oh Dio, non posso mettere un vampiro nella mia storia perchè tutti direbbero che ho copiato Twilight! Aaahhh! Oh mamma ma c'è anche un licantropo!
Tutte pare inutili perchè se la gente dice che hai copiato la Meyer in quanto esiste un vampiro nella storia, allora la Meyer ha copiato la Rice, la Rice ha copiato Stocker e via dicendo.
Poi parte la valanga di errori che riguarda il "dopo". Dopo che l'hai scritto, riscritto, ri-riscritto e spesso addirittura ri-ri-riscritto, ti senti in grado di proporlo agli addetti al lavoro. Qua gli errori non li so bene identificare, posso dire che: bisogna evitare le case editrici a pagamento (qualunque forma di pagamento, acquisti di copie e coperture spese compresi), bisogna evitare case editrici che non pubblicano il genere del nostro romanzo, bisogna evitare le raccomandate (postali), bisogna evitare di scassare troppo la minchia perchè se non c'è trippa per gatti ogni azione è inutile.
Non ho ancora capito se le agenzie letterarie sono da scrivere nel reparto "errori del dopo".
Non ho ancora capito se rivolgersi direttamente a un editor sia un "errore del dopo".
Una cosa ritengo abbastanza certa: se si decide di rivolgersi a una persona in particolare (editor, agente, ecc...) bisogna presentarsi in maniera intelligente. Ovvero: quanto ci fa incazzare ricevere la lettera di rifiuto standardizzata da parte della casa editrice? Molto, perchè capiamo che non l'hanno scritta per noi e che probabilmente non hanno letto il nostro lavoro (e d'altra parte come potrebbero fare altrimenti? Eppure la gastrite ci sale lo stesso). Quindi: a che velocità potrebbero girare le palline dell'editor o editore di turno leggendo una nostra lettera standard, che potrebbe andar bene anche per un benzinaio o un primario ospedaliero? Credo che sia quantomeno prova di educazione e rispetto spiegare il perchè di quella scelta, motivandola possibilmente con la propria opinione sul lavoro del professionista in questione.
Detto questo, credo che di errori del "prima, dopo e durante" ce ne siano una valanga, credo di averne commessi una buona parte, ma credo anche che non sarò mai una scrittrice frustrata. Perchè? Perchè la pubblicazione non è il mio fine. E' un (un, non il) mio mezzo. Il mio mezzo per poter un giorno sbraitare tutto quel che so sulla questione animalista. Informare, divulgare, aiutare e perchè no anche imparare il più possibile su tutto ciò che riguarda la dignità della vita animale e i diritti di queste creature. Questo, e solo questo. Se non ce la farò attraverso la pubblicazione dei miei romanzi e quindi sfruttando un'immagine "popolare", ce la farò in altro modo. Per questo, non sarò mai una scrittrice frustrata: perchè non è il mio fine pubblicare. Però sarebbe una figata!

sabato 6 febbraio 2010

Perchè in America i sogni si realizzano?

E’ da tanto che me lo chiedo, ma non è che io abbia trovato una risposta univoca. C’è chi dice che semplicemente l’America (nello specifico oserei dire gli USA) è più grande, ci sono più persone, perciò è percentualmente più probabile realizzare “il sogno” e ottenere risultati. In pratica, è più probabile trovare il mendicante che diventa miliardario tra 500.000.000 di persone americane che tra 50.000.000 di persone italiane. Giusto. In teoria. In pratica, è molto più raro di quanto ci si dovrebbe aspettare che un italiano sbanchi, matematicamente parlando. E la domanda è: perché?
Ora, io in America non ci sono mai stata, tutto quello che so viene da una fonte molto poco attendibile: la televisione. Poi ci sono giornali, libri, riviste, cinema e quant’altro, ma la tv è la fonte primaria. E cosa mi insegna la tv sull’America? Che là i sogni vengono rispettati. Cha là si tende ad investire maggiormente sulle nuove reclute. Che là puoi collegarti a internet oggi, mandare una mail a Steven Spielberg stasera e leggere la sua risposta domani. Nella mail non troverai scritto chissà che, ma forse qualche buon consiglio sì, e se sei fortunato anche qualche numero di telefono utile.
Prova da Ferrara a mandare una mail a chessò...Giorgio Faletti. Se (e sottolineo se) ti risponderà sarà per dirti “grazie dei complimenti, forse me li merito e forse no, ma li accetto. Ah...ho letto che anche tu hai un sogno. Beh buona fortuna.”
Capite la differenza? Qua c’è una barriera, tra chi ce l’ha fatta e chi ce la vuole fare, pressoché insormontabile. Praticamente delle caste. Perché chi ce l’ha fatta “ha dovuto lottare con le unghie e con i denti, farsi il culo, uscire dalla miseria...perciò anche tu dovrai fare lo stesso. Perché per te dovrebbe essere diverso? Perché devi lottare meno di me? Poi non sia mai che ci sia troppa concorrenza, perciò fottiti.”
Pare che in America ci sia posto per tutti, e chi ce l’ha fatta non ha nulla da temere dalle nuove leve. Anzi, potrebbe addirittura imparare qualcosa di nuovo!
Qua no. Qua le poltrone sono tutte occupate: “vatti a scaldare il culo in mezzo all’immondizia, grazie.”
Non voglio certo dire che negli USA tutti realizzano il proprio sogno, ma un'opportunità spesso (non sempre) capita. Ultima in ordine cronologico: il film Paranormal Activity, costato 15.000 dollari, girato in 7 giorni, fonte di guadagno per 107 milioni di dollari (solo in America). Un sogno, oggettivamente. Internet è stato di certo il principale mezzo di pubblicità, servivano 1.000.000 di persone che chiedessero di veder il film sconosciuto nella sala vicino a casa, e il regista le ha trovate, queste persone. Poi va beh, tra queste persone c'era un tal Steven Spielberg...questo ha aiutato. La domanda è: qua sarebbe stato possibile tutto ciò? Qualcuno avrebbe davvero richiesto di vedere il film nella sala della propria città? Qualcuno si sarebbe interessato a questo film e al sogno che si portava dietro? In Italia, esiste davvero il passaparola? Qualcuno che davvero si prodighi per far sapere ad amici e paranti che "quello sconosciuto che fa film/libri/canzoni/quadri è davvero bravo e merita la loro attenzione?
Oppure ognuno si fa i fatti suoi, guarda "in casa propria", e si interessa solo ed esclusivamente del passaparola già innescato all'estero?
La solitudine dei numeri primi avrebbe venduto così tante copie se non avesse vinto il premio Strega? Qualcuno l'avrebbe esaltato in maniera così eclatante se invece che da Mondadori fosse stato pubblicato da una piccola casa editrice? Coloro che l'hanno premiato con tanta foga, l'avrebbero ugualmente considerato se non fosse stato targato Mondadori?
In Italia, è ancora possibile partire da zero e cambiare la propria vita e magari anche quella degli altri? I sogni, qua, hanno valore? O sono una perdita di tempo, un qualcosa che distoglie dal lavoro, dallo studio, dalla famiglia?
C'è ancora qualcuno che crede e ha voglia di investire nella novità? Nel nome nuovo? O è preferibile fare investimenti sicuri, puntare su nomi noti?
Un treno di domande abbastanza banali. E concludo dicendo che non ho mai scritto a Faletti, che non so cosa risponderebbe se gli si mandasse una mail e che ho scritto il suo nome solo perchè è uno dei più noti. Magari se gli mandate una mail sarà molto cordiale e vi svelerà il suo segreto del successo. O forse vi manderà a fare in culo. Non lo so. Non è questo il punto, comunque.

lunedì 1 febbraio 2010

La mia "cosa" da un altro punto di vista.

Mi aggiro tra le vie delle città, a volte volo trasportato dal vento, e posso abbracciarvi meglio. Quando vi incontro mi stringo a voi, affondo le dita nelle vostre folte pellicce, avvolgo i vostri corpi così caldi, così accoglienti. Condivido con voi creature del monde animale la frustrazione dell'abbandono, e vi accompagni nei lunghi inverni per non farvi sentire soli. Vi sento tremare sotto le mie spire, sento le vostre zampe intirizzite e i vostri peli umidi. Quando mi allontano un po' mi appoggio alle vostre ciotole e l'acqua si ghiaccia, impedendovi di bere. Quando mi siedo per terra il cemento diventa una lastra gelata che vi fa scivolare e cadere, a volte sbattendo contro le reti e le sbarre delle vostre prigioni. Vi tengo compagnia, amici animali, nella solitudine della vostra vita di orfani, di figli di nessuno, di creature di un Dio minore. Quando vedo che le vostre zampe non vi sostengono più vi sto più vicino ma la situazione peggiora tanto che a volte non siete più in grado di muovervi. Vorrei aiutarvi e invece vi uccido. Eppure io voglio solo coccolarvi, donarvi l'affetto e l'amore che i bipedi vi hanno negato. Vi accarezzo, vi stringo, vi bacio, e voi tremate. Quale invidia provo per i bipedi che possono toccarvi senza procurarvi fastidio o dolore! Se solo sapessero, quegli uomini, quale grande fortuna hanno tra le mani! Tutto quello che io tocco rabbrividisce, si crepa, si spezza. Non mi guarderete mai, amici a quattro zampe, con la devozione e l'amore che dedicate alle persone che vi danno cibo, un po' di attenzione, un briciolo d'amore. Mai potrò godere di un così disinteressato affetto da parte vostra, perchè io vi faccio battere i denti. Che cosa ignobile compie l'uomo che vi abbandona, che vi picchia, che vi uccide! Se solo io potessi donarvi sollievo col mio tocco lo farei, lo farei per godere per un secondo del vostro amore che dispensate con così grande ingenuità e facilità. Ma io non posso, non posso darvi quello di cui avete bisogno, piccoli amici animali. E non importa che siate gatti, cani, topolini, volpi...la vostra innocenza mi disarma. Non posso stare lontano da voi, dai vostri corpicini che sprigionano affetto. E vi gelo. Perchè io sono il Freddo, e come voi, sono solo e abbandonato da tutti.

martedì 26 gennaio 2010

Piccolo cane che sorride

All’inizio non uscivi nemmeno dalla cuccia, te ne stavi lì rintanato ma eri così curioso che sporgevi la testina fuori, e mi guardavi. Mi guardavi e sorridevi, e chi pensa che i cani non possano sorridere dovrebbe venire a conoscerti. Eri una delle creature più buffe che io avessi mai visto e vedevo la caparbietà di vincere la puara nelle tue fugaci apparizioni fuori dalla cuccia. Avevi una voglia immensa di provarci, di stabilire un contatto, di farti coccolare davvero. Ti avvicinavi col tuo passo claudicante, la bocca aperta a scoprire i denti in quel modo meraviglioso che solo tu sai fare, arrivavi a due passi da me, ma appena allungavo la mano scattavi verso la cuccia di nuovo, dove tornavi ad affacciarti sorridendo. Mi prendevi in giro? Mi sa di sì, mi tenevi sulle spine, ma avevi già scelto, avevi già deciso: ti saresti fidato. Un giorno ho deciso di entrare nella cuccia, e tu hai avuto paura perché ti sei appiattito sul cemento facendoti la pipì addosso, ma ti sei fatto mettere il collare, e poi il guinzaglio, e ti sei fatto accarezzare. Con la pazienza che solo chi ti guarda negli occhi può trovare, ho atteso che uscissi dal box: meno di venti passi per uno scricciolo di 12 chili come te, ma ti sono parsi lunghissimi, perché poi ti sei seduto subito tra le mie gambe e mi hai guardato sorridendo. Per uscire dal canile abbiamo impiegato più di 10 minuti, ricordi? Ogni dieci passi ti lanciavi tra le mie gambe e quasi sono caduta. Cercavi la protezione di una cuccia che non avevi più, e la trovavi nel mio corpo. Era tutto troppo grande, vero? Troppa aria, troppo ossigeno, troppi spazi aperti, e nessuna cuccia in cui nascondersi. Adesso arriviamo a fare anche 300 metri fuori dal canile, è un grande successo, e anche al ritorno cammini da solo, non come la prima volta, che ho dovuto portarti indietro tenendoti in braccio perché eri troppo terrorizzato. Il giorno dopo avevo un mal di schiena che non scorderò più, eppure ne è valsa la pena, eh?
Ti guardo, piccolo cane che sorride, ti guardo anche adesso e mi sorridi ancora, mi sorridi sempre e ti lanci sulla rete scodinzolando ogni volta che arrivo perché mi riconosci da lontano. Infilo le dita tra le sbarre e tu me le lecchi con devozione ed entusiasmo. E io vorrei prestarti i miei occhi per consentirti di piangere. Vorrei prestarti la mia voce per consentirti di gridare il tuo dolore. Vorrei prestarti le mie mani per consentirti di scuotere le sbarre.
Ma se tu avessi i miei occhi non piangeresti, tu li useresti per vedere quel poco di bello che c’è al di là della rete.
Se ti avessi la mia voce non grideresti il tuo dolore, la useresti per cantare la gioia della tua nuova vita lontano dal canile lager.
Se tu avessi le mie mani non scuoteresti le sbarre, le useresti per allungare le dita al di là della tua prigione e accarezzare le ali delle farfalle.
Perché se tu avessi tutto ciò che ho io, saresti migliore di me.
Invece non hai nulla di quello che ho io: ti hanno fornito di quattro zampe di cui solo tre ben funzionanti, di una folta pelliccia ormai devastata dai nodi che ti divorano anche la pelle e di quel sorriso che si può scorgere solo raramente nel volto di un bambino e in quello di un angelo.
Questa primavera dovremo rasarti a pelle, sai? Adesso no, è troppo freddo, ma per quei nodi terribili non esiste soluzione: sono un covo di parassiti e ti fanno anche tanto male perché sono grossi come i pugni di un uomo. Poi diciamocelo, tu ti sdrai sempre sulle tue cacche, vero? Non importa cos’hai sotto la schiena, tu porgi sempre il tuo pancino in segno di sottomissione e ti prendi tante coccole. A me non importa se fai cattivo odore e se sei tutto sporco: che vuoi che sia una coccola quando ti ho portato in braccio per centinaia di metri?
Vorrei poter fare di più. Anzi, potrei fare di più, ma non ho il coraggio. Non ho il coraggio di mollare tutto e venire da te e dai tuoi compagni e dedicarmi esclusivamente a voi, non ho il coraggio di mettere da parte la mia vita per salvare la vostra, non ho il coraggio di essere migliore di quello che sono. Non sarò mai come te, piccolo cane che sorride.