Iniziai a scrivere il primo romanzo perchè ero ossessionata da un'immagine: vedevo una ragazza seduta accanto all'oblò di un aereo. Un'immagine assolutamente banale, del tutto distaccata dalla mia vita e decisamente non condizionata dalle esperienze di quel periodo. Allora ad un certo punto decisi che se vedevo sempre quella scena un motivo c'era, e così la scrissi. Poi mi chiesi dove andava quella ragazza, perchè ci andava e cosa stava pensando. La chiamai Kate, e da lì nacque il mio primo romanzo. Un romanzo ingenuo, ma che resterà sempre e per sempre il mio preferito. Quando lo finii (dopo numerose stesure) lo impacchettai e lo spedii per case editrici e concorsi. Ma lo feci con lo stato d'animo di chi tira l'acqua dopo aver fatto la pipì: ovvero come un qualcosa di automatico e giusto che non ha bisogno di riflessioni sulle eventuali conseguenze. Voglio dire: noi tiriamo l'acqua perchè è educato, ci è stato insegnato e per una questione igienica. Ma mentre lo facciamo non seguiamo il filo logico delle conseguenze che il tirare o meno l'acqua può comportare. Non ho mai visto nessuno soffermarsi con la catenella in mano e riflettere su quel che stava facendo. Ecco, quando spedii il romanzo non mi soffermai a rifletterci. Poi qualcuno cominciò a farmi qualche domanda sul romanzo e sulle sue sorti, e allora mi sorse un dubbio: e se poi divento la solita scrittrice mancata e frustrata? Ma grazie a Dio, non è così. Non sono frustrata, non m'importa della pubblicazione. Però ci provo lo stesso. Perchè? Perchè la pubblicazione dà soddisfazione? Anche. Perchè può portare soldi? Forse, ma in misura molto minore di quanto possa pensare la gente. Per una questione di prestigio? Fuochino. Non proprio per il prestigio, ma per la possibilità di essere qualcuno. Che brutta frase, eh? Ipocrita ed egoista. Ma non è così. Io voglio contare qualcosa per poter fare maggior propaganda in quel che credo. Io sono abbastanza informata su quanto di terribile succede in Italia e nel mondo a discapito del regno animale. So delle perreras, del canile di Rieti e di Cireale (e non solo), so cosa avviene negli allevamenti intensivi, so cosa succede nei laboratori della Friskies (e non solo)...sì so molte cose che altri ignorano e che sono ben felici di ignorare. E ne informo parenti e amici conoscenti e tutti coloro che incrocio nella mia vita. Ma non mi basta. Io voglio che lo sappia tutto il mondo, voglio far vergognare coloro che sanno e se ne fregano e voglio che chi ignora si scandalizzi. Voglio boicottare l'impero imprenditoriale dello sfruttamento e maltrattamento animale ma non posso farlo da sola. E anche se siamo in migliaia, siamo ancora pochi. Dobbiamo essere in milioni. E siamo onesti: se fossi davvero qualcuno, avrei molti più mezzi. Non sarebbe comunque sufficiente, ma aiuterebbe un po'. Quindi il motivo per cui non sono frustrata nonostante la mancata pubblicazione sta nel fatto che scrivo in primis per rispondere ad un bisogno primario al limite del fisiologico (come fare la pipì, appunto), e poi perchè faccio comunque del mio meglio per realizzare quello che la popolarità renderebbe solo un tantino più fattibile.
Ho da poco finito la prima stesura di un altro romanzo. Ci proverò di nuovo, anche se con modalità diverse. E quando giungeranno di nuovo silenzi o rifiuti, continuerò a non essere frustrata. Anzi, nel frattempo avrò già iniziato (o forse finito) il terzo romanzo che mi perseguita il cervello. Forse avrò anche salvato altri cani e gatti e conigli e polli e chissà quale altra creatura. E non c'è pubblicazione che tenga, di fronte all'eterna consapevolezza di aver dato gioia a chi non aveva più speranza.
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1 anno fa