martedì 26 gennaio 2010

Piccolo cane che sorride

All’inizio non uscivi nemmeno dalla cuccia, te ne stavi lì rintanato ma eri così curioso che sporgevi la testina fuori, e mi guardavi. Mi guardavi e sorridevi, e chi pensa che i cani non possano sorridere dovrebbe venire a conoscerti. Eri una delle creature più buffe che io avessi mai visto e vedevo la caparbietà di vincere la puara nelle tue fugaci apparizioni fuori dalla cuccia. Avevi una voglia immensa di provarci, di stabilire un contatto, di farti coccolare davvero. Ti avvicinavi col tuo passo claudicante, la bocca aperta a scoprire i denti in quel modo meraviglioso che solo tu sai fare, arrivavi a due passi da me, ma appena allungavo la mano scattavi verso la cuccia di nuovo, dove tornavi ad affacciarti sorridendo. Mi prendevi in giro? Mi sa di sì, mi tenevi sulle spine, ma avevi già scelto, avevi già deciso: ti saresti fidato. Un giorno ho deciso di entrare nella cuccia, e tu hai avuto paura perché ti sei appiattito sul cemento facendoti la pipì addosso, ma ti sei fatto mettere il collare, e poi il guinzaglio, e ti sei fatto accarezzare. Con la pazienza che solo chi ti guarda negli occhi può trovare, ho atteso che uscissi dal box: meno di venti passi per uno scricciolo di 12 chili come te, ma ti sono parsi lunghissimi, perché poi ti sei seduto subito tra le mie gambe e mi hai guardato sorridendo. Per uscire dal canile abbiamo impiegato più di 10 minuti, ricordi? Ogni dieci passi ti lanciavi tra le mie gambe e quasi sono caduta. Cercavi la protezione di una cuccia che non avevi più, e la trovavi nel mio corpo. Era tutto troppo grande, vero? Troppa aria, troppo ossigeno, troppi spazi aperti, e nessuna cuccia in cui nascondersi. Adesso arriviamo a fare anche 300 metri fuori dal canile, è un grande successo, e anche al ritorno cammini da solo, non come la prima volta, che ho dovuto portarti indietro tenendoti in braccio perché eri troppo terrorizzato. Il giorno dopo avevo un mal di schiena che non scorderò più, eppure ne è valsa la pena, eh?
Ti guardo, piccolo cane che sorride, ti guardo anche adesso e mi sorridi ancora, mi sorridi sempre e ti lanci sulla rete scodinzolando ogni volta che arrivo perché mi riconosci da lontano. Infilo le dita tra le sbarre e tu me le lecchi con devozione ed entusiasmo. E io vorrei prestarti i miei occhi per consentirti di piangere. Vorrei prestarti la mia voce per consentirti di gridare il tuo dolore. Vorrei prestarti le mie mani per consentirti di scuotere le sbarre.
Ma se tu avessi i miei occhi non piangeresti, tu li useresti per vedere quel poco di bello che c’è al di là della rete.
Se ti avessi la mia voce non grideresti il tuo dolore, la useresti per cantare la gioia della tua nuova vita lontano dal canile lager.
Se tu avessi le mie mani non scuoteresti le sbarre, le useresti per allungare le dita al di là della tua prigione e accarezzare le ali delle farfalle.
Perché se tu avessi tutto ciò che ho io, saresti migliore di me.
Invece non hai nulla di quello che ho io: ti hanno fornito di quattro zampe di cui solo tre ben funzionanti, di una folta pelliccia ormai devastata dai nodi che ti divorano anche la pelle e di quel sorriso che si può scorgere solo raramente nel volto di un bambino e in quello di un angelo.
Questa primavera dovremo rasarti a pelle, sai? Adesso no, è troppo freddo, ma per quei nodi terribili non esiste soluzione: sono un covo di parassiti e ti fanno anche tanto male perché sono grossi come i pugni di un uomo. Poi diciamocelo, tu ti sdrai sempre sulle tue cacche, vero? Non importa cos’hai sotto la schiena, tu porgi sempre il tuo pancino in segno di sottomissione e ti prendi tante coccole. A me non importa se fai cattivo odore e se sei tutto sporco: che vuoi che sia una coccola quando ti ho portato in braccio per centinaia di metri?
Vorrei poter fare di più. Anzi, potrei fare di più, ma non ho il coraggio. Non ho il coraggio di mollare tutto e venire da te e dai tuoi compagni e dedicarmi esclusivamente a voi, non ho il coraggio di mettere da parte la mia vita per salvare la vostra, non ho il coraggio di essere migliore di quello che sono. Non sarò mai come te, piccolo cane che sorride.

lunedì 18 gennaio 2010

La morte non ha la faccia di un bambino

Accendere la tv e aprire un giornale sta diventando uno strazio, per giorni e giorni la morte ha avuto il volto di bambini, cosa che mi fa pensare alla pedopornografia. E’ incredibile tutto questo, perché quando paparazzano le star con i loro figli in braccio, il volto dei pargoli è sempre oscurato. E quelli sono bimbi felici, ricchi, in salute. Quando invece i bambini sono morti, feriti, violati dalla natura, allora non c’è filtro. La morte ha la loro faccia, e non è giusto. Il volto di un bambino è e dev’essere simbolo di speranza, e l’uso (perchè è questo che fanno: li usano!) che ne viene fatto mi lascia schifata e sconvolta. Non c’è niente di nuovo in tutto questo, per carità, ed è anche vero che la metà della popolazione haitiana è composta proprio da loro: bimbi.
Ci si sente sempre incredibilmente impotenti di fronte a tutto questo, e molti di noi lo sono. Se potessi, se fosse utile, partirei stasera. Ma non sarei utile, e non parto. Il bonifico effettuato stamattina in favore di quelle popolazioni non mi fa sentire meglio in nessun modo, è come se non avessi fatto proprio nulla per aiutarli. Per quanto io abbia tentato in tutti i modi di mettere il cuore nell’atto di fare click su “onferma bonifico”, non ce l'ho fatta, mi sono sentita come se avessi tirato la cordicella dello sciacquone. Sarà che con i soldi ci lavoro, e ogni giorno mi rendo conto di quanto siano sempre causa di malcontento e litigio, chissà. Sarà che resto sempre del parere che mandare un bonifico ogni tanto (a Natale, ad esempio) sia solo un modo delle persone di scaricare la coscienza. Sarà che secondo me le cose vanno fatte con costanza, con ordine, possibilmente di persona. E in questo caso non sarà così: non manderò un bonifico al mese di persona a quella gente (resterà un "una tantum"), non controllerò che i soldi arrivino a destinazione (non ne avrò la possibilità) e, soprattutto, io non andrò ad Haiti per fare la differenza. Quindi sono inutile. E anche voi che fate come me lo siete.
Ognuno di noi dovrebbe avere il suo pezzettino di inferno da spegnere, e ci vuole tempo, dedizione, sacrificio, amore. E qualcuno di voi (forse tutti) storcerà il naso leggendo che proprio in queste occasioni mi rendo conto di quanto un animalista sia bravo a gestire il proprio pezzetto di inferno. Perché noi non aspettiamo catastrofi naturali per ricordarci che le cose vanno male, noi lo sappiamo sempre, viviamo in questa consapevolezza e ci facciamo i conti volta che chiudiamo gli occhi, ogni volta che passeggiamo per strada, ogni volta che andiamo a letto, ogni volta che parliamo con qualcuno, ogni volta che respiriamo. Quella dell’animalista è solo la consapevolezza del più debole, e non importa che questo sia cane, gatto, uomo, donna, bambino; importa solo che l’animalista, in prima persona, possa fare qualcosa di concreto per aiutarlo. E questo non sarà un aiuto “una tantum”, lui si dedicherà alla soluzione del problema finchè avrà fiato. Perché una volta il saggio GL disse che “di solito” chi aiuta gli animali non si tira indietro di fronte a una persona che si trova in difficoltà, e ha ragione. Perché allora scegliamo gli animali e non i bambini? Perché non abbiamo scelta, siamo nati con questa vocazione ma, statene pur certi, mai e poi mai un animalista resterà indifferente alle tragedie umane. Il pezzettino di inferno più vicino a noi non è quello di Haiti, ma quello delle torture e delle violenze sugli animali, e cerchiamo di spegnere quello. Quando l’avremo spento, sceglieremo un altro inferno. E comunque, non è detto che si debba gestire un inferno alla volta. Simona Sessa, co-amministratrice insieme a me de Gli amici di Gattone, si dedica da decenni alla lotta contro anoressia, bulimia e violenze sulle donne.
La sensibilità di un animalista di fronte a catastrofi quali quella Haitiana però non si esaurisce con le notizie al TG. Prima o poi i nostri giornalisti non parleranno più del terremoto e le foto dei bambini non saranno più lo slogan delle TV. Ma gli animalisti non dimenticheranno. Io tutt’ora sto ben attenta a non comprare vestiti made in Birmania anche se le nostre trasmissioni si siano già dimenticate di quanto successo in quel paese pochi anni fa. Oltre agli animalisti (che sono solo una delle tante categorie)ce ne sono tante di persone con una sensibilità così profonda da non dimenticare certe cose nemmeno quando sarebbe meglio farlo. Resto sempre molto contrariata nel constatare che la televisione manipola le nostre coscienze: adesso siamo tutti sul pezzo, tutti a piangere lacrime amare per quei bambini strumentalizzati, usati come spremilacrime. Temo che sarà sempre la televisione a decidere quando quei bambini potranno essere dimenticati. Pedopornografia della morte: il nuovo business.

domenica 10 gennaio 2010

La prima volta

Ciao, uomo. Ehi, che buon profumo che fai! Fa sentire per bene, dai!
Wow...ma questi...si! Questi sono biscottini al manzo! Ma sai che al vecchio canile non me li davano mai? Che fai? Che fai con quella mano in tasca? Oh, mi fai paura! Scappo nella cuccia. Sento che mi stai chiamando, allora faccio capolino. Ti vedo lì accucciato, con la mano tesa. Che vuoi da me? Nel vecchio canile non entravano mai nel box e quando lo facevano uscivano subito. Boh, sai di buono, uomo: sai di fango, di biscotti al manzo e....eh sì, sai anche di cacca! Mi sa che ne hai pestate parecchie in questo posto. Beh, sono odori rassicuranti. Esco ancora dalla cuccia e vedo che sorridi, ancora con la mano tesa. Mi avvicino e lo capisco subito che mi sta tendendo i biscottini...che faccio? Li prendo? Non è che poi ti arrabbi? Mmmm...proviamo.
Prendo un biscottino con la punta del muso e mi allontano subito, le orecchie appiattite sul capo e la coda nascosta tra le zampe. Tu rimani lì, e mi parli con un tono calmo. E mi lasci i biscottini! Cavolo, sono buoni. Beh, ora che mi hai dato da mangiare puoi uscire dal mio box.
Che fai? Cos'è quella roba che tieni in mano?
Oh! No eh??? Che mi metti intorno al collo! Ho paura!!!!
Tremo tutto e mi appiattisco a terra ma la tua mano mi accarezza. E' la prima volta che mi capita. Mamma mia, che bella sensazione! Dai non fermarti, ancora una coccolina sulla pancia, guarda te la offro, in pieno segno di fiducia e sottomissione. Quante coccole che mi fai, uomo! Non ne ricevevo mai nel vecchio canile. Va beh, dai...mettimi quella cosa intorno al collo...giusto perchè mi offri un biscottino eh?
E adesso? Perchè lasci aperto il cancellino del box? Perchè mi tiri con quella roba che mi hai messo intorno al collo? Che fai? Che fai? Che fai, uomo? Io non esco da qui! Non sono mai uscito a parte quando mi hanno trasferito qua dal vecchio canile....ci sarà un motivo!
Un altro biscottino? Me lo offri da fuori del box. Mi stai corrompendo, eh?
Ok, vengo fuori, ma vengo piano piano, strisciando sulle zampine, con la coda piantata tra le posteriori, le orecchie che quasi non si vedono da tanto sono appiatite. Prendo un biscottino e tu...tu mi fai un'altra carezza! Un'altra carezza...mi emoziono a tal punto che mi scappa la pipì e non riesco a fermarla. Scusami uomo! Ti prego scusami se ho sporcato! Tremo per paura di una punizione ma tu, uomo, continui a coccolarmi. Allora mi sta bene, mi fido di te e ti seguo. Mi porti fuori dal canile, e vedo tanto verde! Aspetta che annuso, annuso quest'erba che pensavo fosse stata inghiottita dall'asfalto del mio box, annientata dalle grate del canile. Invece in questo nuovo posto, c'è l'erba! Poi mi siedo perchè abbiamo fatto diversi metri, e io non sono abituato a passeggiare per più di due metri...la lunghezza del box. Ti avvicini, e mi rassicuri, mi coccoli. Io mi emoziono ancora ma tu non mi punisci, mi coccoli ancora. Ok, ancora qualche metro, va bene? Poi mi porti indietro perchè tutta questa libertà mi spaventa. Ti cammino appiccicato alla gamba, e so che tu quasi inciampi su di me ma non mi sgridi, non mi abbandoni: mi accarezzi ogni pochi passi per rassicurarmi. Ti sto tanto tanto vicino e vorrei che tu non te ne andassi mai. Vieni con me nel box? Io c'ho vissuto senza mai uscire per tanto tempo, sai? Si può fare. C'è posto nella mia cuccia! Dai dai, vieni nel mio box! Ma tu ancora cammini, sembri felice e mi sorridi, allora ti assecondo e cammino con te. Beh, devo dire che l'erba, l'aria, gli alberi, il cielo... comincia a piacermi questo immenso spazio libero! Così camminiamo ancora un bel po', io ogni tanto mi fermo perchè ho paura di sbagliare, ma tu mi rassicuri e mi coccoli, mi dai biscottini...mi sembra un sogno tutto questo! Un sogno!
Quando mi porti indietro mi dai ancora qualche carezza, poi esci dal box. Ti volti e agganci le tue mani al cancellino e io vengo a leccarti le dita: quelle dita che mi hanno dato affetto e cibo buono per la prima volta. Ti amerò per sempre, uomo. Amavo i tuoi simili che entravano nel box solo per lanciarmi cibo che non sapeva di niente e uscivano senza neanche guardarmi. Amavo i tuoi simili che non mi hanno mai fatto vedere a un veterinario, che non mi hanno mai curato, che non hanno mai pulito il mio box e che mai e poi mai mi hanno fatto annusare l'erba. Sì, io amavo i tuoi fratelli che stavano al vecchio canile, quello che tu chiami canile lagher. Ma adesso che sono qui, che ho una coccola, cibo buono, una cuccia, una coperta, e addirittura una passeggiata al giorno, sono felice. Felice in canile. Chissà se si può essere più felici di così. Beh, se tu venissi a vivere nel mio box io sarei felicissimo, in effetti. Ce l'hai anche tu un box? Chissà se ce l'hai, se me lo mostrerai. Se mi porterai con te in un posto dove nessun cancello ci dividerà, in un posto dove ti vedrò sempre. Ma va bene anche così, io nel mio box e tu nel tuo. Perchè io mi accontento anche dell'amore che puoi darmi part time. Perchè, senza voler essere poi troppo presuntuoso, ho come l'impressione di essere più capace di te ad amare.

martedì 5 gennaio 2010

Vi è mai capitato...

...di sentirvi come se fosse tutto a portata di mano? Come se vi fosse sufficiente allungare un braccio, o mettersi in punta di piedi, per raggiungere la meta? E quante volte, subito dopo, vi siete sentiti come se invece di toccare il cielo foste caduti nella fossa dei serpenti? Quante volte vi siete sentiti beffati dal destino, ridicolizzati dagli eventi? Quante volte vi siete chiesti se Dio ce l'avesse con voi?
Quante volte anch'io mi sento davvero a un passo dal traguardo, sicura di dover compiere solo un piccolo, miserabile passo! Poi invece non succede niente, ma la cosa incredibile è che poi non ci si sente come se nulla fosse accaduto, no! Ci si sente come se ci avesse travolto un treno. O almeno così accade a me. E allora, ogni volta, mi dico sempre la stessa frase: non era IL Momento.
Vivo nella convinzione (o nella speranza?) che quando sarà il mio Momento, allora accadrà quel che deve accadere. E sono tanti i traguardi da tagliare. Quindi sono tanti i momenti che credevo già "miei", e invece non lo sono stati. Mazzate su mazzate. Come tutti, eh? Però riflettevo proprio sul come sia incredibile il mio modo di reagire (che forse non è solo mio). Quando scopro che il momento poi non è stato IL Momento, non mi limito a fare spallucce lasciandolo passare. Non ce la faccio! Sebbene la mia vita dopo IL Momento che poi si è rivelato UN momento (non mio) continui esattamente come prima, io mi sento come se la vita mi avesse fatto lo sgambetto. Presente i Simpson? Ecco, a volte mi sembra che la vita faccia come Nelson quando deride un malcapitato indicandolo senza ritegno: mi sento un po' presa per il culo, insomma.
Ma poi passa. E passa perchè se la scalata non è finita, la colpa non è di nessuno. Un piede davanti all'altro, finchè si raggiunge la vetta. O si cade. Ma io non cadrò, ho troppi traguardi da superare: finire casa, metter su famiglia, salvare animali, scrivere e pubblicare romanzi davvero ma davvero belli, sensibilizzare il mio pubblico al problema ecologico-ambientale-animalista...tante cose insomma. E le devo fare tutte. Quest'anno spero tanto di poter superare almeno il primo traguardo e finire sta benedetta casa. Animali ne ho già salvati tanti ma quello è un traguardo che si sposta sempre più avanti, perciò boh...forse lo supererò quando attraverserò il ponte arcobaleno (tra tantissimo tempo, spero). Metter su famiglia: direi è il traguardo che viene subito dopo la casa perciò non dovrebbe mancare poi tanto. Per gli ultimi due, beh...lì ho seminato qua e là, qualcosa ho raccolto però a essere sincera un po' di sfiga ce l'ho! Chi mi conosce sa da quanto agogno la possibilità di frequentare un VERO corso di scrittura creativa. Non per imparare perchè a diventare scrittori non s'impara, ma per avere un momento di confronto e di dialogo. Ma sant'iddio...dove li trovo io 400 euro per partecipare? Non è che non ho 400 euro, è che non posso spenderli lì, non adesso, non con una situazione così incerta in casa. Io non voglio 100 milioni di euro. Io voglio un corso di scrittura creativa come quello che avrà inizio a febbraio a San Lazzaro. Ma non c'è lotteria che lo metta in palio, e Babbo Natale è già passato. Si vede che non è IL Momento.