lunedì 1 marzo 2010

Maestra pancreatite

L'ho conosciuta nel 2006, e quella notte ho conosciuto di conseguenza il vero dolore fisico. Certo, ci sono miliardi di cose molto dolorose, ce ne sono una discreta quantità di più dolorose, ma non sono poi così tante e soprattutto sono abbastanza inusuali. La pancreatite, per intenderci, è molto più dolorosa di una qualunque colica renale e molto probabilmente è riconducibile ai dolori di un parto naturale, ma non porta con sè nè la consolazione di una buona causa nè la speranza di un futuro ricco di soddisfazioni derivanti dal nascituro. E' un dolore fine a sè stesso, profondo, che circonda il busto e sembra stritolarti in una morsa abbastanza potente da toglierti il respiro ma non abbastanza insistente da spaccarti il corpo a metà. E', soprattutto, un dolore bastardo. Bastardo perchè bussa alla porta di giorno, ti tedia ma con discrezione, come un tarlo, ma è abbastanza sopportabile da non allarmarti. Così vai a lavorare, lamentandoti del mal di schiena come una pensionata al supermercato, poi esci con la cugina, e vai all'ipercoop accennandole a quel fastidio all'altezza dei reni e del fianco destro, ma non ti preoccupi. La sera sei sola, perchè la mamma fa la notte e sai che il fidanzato ha la partita di calcetto. Però il mal di schiena comincia a essere un po' troppo fastidioso e quindi, in un'incredibile slancio di prudenza, telefoni a Davide prima che vada al campo di calcio e ti fai portare un tubetto di Voltaren. Il fidanzato, premuroso ma rassicurato dalla tua autodiagnosi (colpo della strega) ti spalma con amore il Voltaren, promette di lasciare il cell acceso durante la partita e poi va a giocare. Ed è mezz'ora dopo, che il dolore bastardo ti assale. Su quel divano, che è sempre stato uno scomodo portatore sano di cervicale, ora non resisti più. Muovendoti come un reduce da capottamento in automobile, ti alzi e vai a letto, dove di certo starai più comoda. Dove di certo il dolore si affievolirà. Ed effettivamente riesci addirittura ad appisolarti. Ma questo perchè il dolore è un bastardo: ti fa abbassare le difese, si accerta di coglierti di sorpresa, prima di attaccare. E quando attacca lo fa con la gendarmeria più pesante, in un'ondata unica e fitta e travolgente e soffocante, senza pietà, improvviso e sorprendente come solo il nemico più infimo e calcolatore può fare. E tu, inerme su quel letto, perdi tutto d'un colpo la pochissima lucidità che il dormiveglia ti aveva risparmiato. Senti che respirare equivale a piantarsi un coltello tra le costole, che piangere è impensabile perchè lo singhiozzare causa scosse dolorose allo stomaco che ti sembra venga preso a calci, che la sola idea di alzarsi per andare a prendere il cellulare ti può far svenire dal dolore. Perchè non sai cos'altro possa farti male, muovendoti. Se l'immobilità t'inchioda al letto in preda a ondate di fitte che a malapena ti consentono di respirare, cosa ti può accadere se ti alzi? Eppure, vuoi davvero passare la notte lì, da sola, con la compagnia di quel dolore bastardo? E allora ti alzi. Ti alzi e scopri che in piedi stai meglio, che puoi respirare anche se molto, molto, molto lentamente. Che se inali l'aria per uno massimo due secondi, i polmoni non esplodono come li avessero riempiti a dismisura. Sì, in piedi puoi resistere. Quando componi il numero di casa di Davide, e dall'altra parte senti la voce di tua suocera, scopri che anche piangere è diventato sopportabile, ma che ora che hai finalmente la libertà di singhiozzare, non hai la lucidità di parlare. Allora senti la voce del tuo fidanzato, che ha già capito tutto, e che dopo venti secondi sta già volando da te.
Poi inizia un lungo calvario, un ricovero sciagurato, una diagnosi scritta sugli esami del sangue che però, incredibilmente, i medici sembrano non saper leggere. Eppure è scritto a grandi lettere: amilasi pancreatica oltre dieci volte il massimo consentito. Ma no, la paziente è astemia, normopeso, giovane. Allora via, con le risonanze magnetiche. Nessuna malformazione. Poi un susseguirsi di ipotesi. Ma non è importante. Non è quello che conta. Conta la paura, perchè la notte quel dolore bastardo non si calma nemmeno dopo 3 dosi di antidolorofico (prima la pastiglia, poi le gocce, infine l'iniezione), e lo si mette a tacere solo con le flebo. Ecco, quelle sì, funzionano. Però niente cibo, perchè se anche non senti più dolore, i valori vanno alle stelle appena butti giù un chicco di riso. E così, per due settimane.
La pancreatite è stata maestra. Di dolore? No. Di spirito di sacrificio? No. Di pazienza? No. Di fede? no. Di amore? Sì.
Perchè lì, distesa sul letto (sollevato a 90 gradi, perchè poi la pancreatite ha gravi ripercussioni sullo stomaco anche se vuoto), ho sentito Davide che mi diceva: "Vorrei poter essere al posto tuo, per risparmiarti tutto questo". Ecco, gli ho creduto. E gli ho creduto perchè io mai e poi mai avrei voluto fare cambio, mai e poi mai avrei voluto vedere lui al mio posto, a lottare contro un male che avrebbe avuto un nome solo due settimane dopo. Fossi stata al suo posto, avrei provato un dolore ben più profondo, probabilmente. E quindi non so dire se il nostro fosse solo amore o se ci fosse anche una punta di egoismo. Non so dire se la persona innamorata si renda conto di quanto l'anima soffra ben più del corpo. Uno poi lo capisce a posteriori, perchè mentre le vivi, certe vicende non ti consentono di mantenere la lucidità. Ma ancora una volta, quello che conta è un'altra cosa: in quel momento sei convinto che il dolore fisico sia la peggior cosa che possa capitare al partner, e allora non vuoi fargli conoscere quell'esperienza. Forse sei convinto che l'altro ti ami un briciolo di meno, e che quindi il male che deve sopportare la sua anima mentre ti vede soffrire fisicamente sia ben più sopportabile di quello che dovrebbe sopportare il suo corpo. E' un errore, ma lo scopri poi dopo, col tempo, quando sono passati almeno tre anni e anche il fastidioso e debilitante decorso post ricovero è pressochè superato e puoi tornare a mangiare e uscire senza temere di star male da un momento all'altro (magari dopo aver mangiato una patatina fritta). Ecco, dopo, vedi che le ferite dell'animo del partner non sono superate, e che siccome la tua pancreatite non ti abbandonerà mai...non abbandonerà mai nemmeno lui.

Nessun commento:

Posta un commento