lunedì 10 maggio 2010

Io, Esbat e le "robe giapponesi"

Non è mia abitudine stroncare un libro solo perchè non mi è piaciuto, perciò non lo farò, dirò solo che ho abbandonato la lettura di V.M.18 e ho iniziato Esbat.

Riprenderò V.M.18 prossimamente, magari dopo Saramago e Dazieri, quando forse non sarò più fortemente influenzata dalle altissime aspettative che mi ero creata nei confronti di questo romanzo.

Parliamo di Esbat, invece. Non esporrò un’articolata opinione perché non l’ho ancora finito, posso però dire che finora mi piace molto.

A rallentarmi, oggettivamente, è la mia davvero scarsa (quasi inesistente) cultura in ambito anime e manga (e tutte le “robe giapponesi”). Nella mia ignoranza credo di aver indovinato nel manga-anime Hinuyasha (che probabilmente non si scrive così, ma dato che si capisce lo stesso non perdo tempo a cercarlo su google) l’origine di questo romanzo che poi è una fanfiction.

Ok, di Hinuyasha so qualcosa dato che mi è capitato di vederne qualche puntata su MTV. Mi ricordo che c’era Kagome, un demone volpe, una sfera dei 4 spiriti che non ho mai capito bene cosa fosse e a cosa servisse, una tipa che è morta 5 o 6 volte che faceva (fa?) la sacerdotessa e vari altri personaggi di contorno, tra cui il cattivissimo cattivo che a un certo punto si trasforma in due neonati (uno buono e uno cattivo). Poi, ovviamente, c’è il mezzo demone e protagonista Hinuyasha che ha un fratello demone che non mi ricordo come si chiama (e che mi pare essere lo stesso che va a letto con la Sensei in Esbat).

Tutto ciò ha in realtà poco a che fare con Esbat, la cui storia si snoda su vicende diverse.

Dove sta la mia difficoltà? Non saprei indicare una motivazione scatenante (beh, i nomi giapponesi e gli optional sempre giapponesi e impronunciabili non aiutano), ma è oggettivo che quando siamo in ambito manga o anime io mi sento un pesce fuor d’acqua. Annaspo davvero, stando a galla sì, ma con fatica. E’ un po’ come essere in mare: non so nuotare ma stranazzo, il risultato è che per fare 2 metri uso il fiato che un mediocre nuotatore userebbe in 2 vasche.

Così, arrivata al momento in cui la protagonista di Esbat (Sensei...ma avrà anche un nome?) incontra il suo demone, devo tornare a rileggere tutto il primo capitolo per capire cosa diavolo le sta rinfacciando e perché diavolo prima la vuole sbudellare e poi le regala il più bell’orgasmo della vita. Poi ho capito, ma mi sono dovuta aiutare con una specie di schemino. E il problema, ne sono certa, non sta nella scrittura dell’autrice (Lara Manni) ma nella mia testa. Prendiamo, ad esempio, Full Metal Alchemist: un anime che mi risulta essere tratto da un manga. Io non ci provo proprio a entrare nella storia. Nella mia testa la filosofia di queste opere si annacqua, poi si sgretola, poi sparisce. Devo avere una specie di filtro nel cervello che mi impedisce di capire le storie, di capire i personaggi e di tenere a mente quel poco che credo di aver capito ma che probabilmente ho frainteso. Avete presente la scimmietta che sbatte i piatti nel cervello di Homer Simpson quando lavora? Ecco, a me succede la stessa cosa davanti a manga/anime, e non so il perché. C’è qualcosa che mi affascina, che mi prende e che mi trascina, ma c’è qualcosa, qualcosa di chiaramente più forte, che non mi consente di avere un vero feeling.

E la cosa triste, in tutto questo, è che ho la netta sensazione di perdermi qualcosa di davvero piacevole. Esbat non fa che acuire questa sensazione.

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