venerdì 28 maggio 2010

Libri&Vampiri

Mi rendo conto di avere un approccio davvero bulimico con i miei romanzi. Mi lancio su uno, lo abbandono, mi lancio sull’altro, poi torno sul primo ma prima o dopo riprendo il secondo. Posso stare anche diversi giorni senza toccare né l’uno né l’altro (che non vuol dire che non scrivo, vuol dire che scrivo altro). In quei giorni di solito mi concentro sul romanzo di Moona (che ho cacciato su internet gratis: tenerlo nel cassetto non ha senso), e mi chiedo se è un lavoro ben fatto. Quantomeno, se è un lavoro che avrei potuto fare meglio. Di solito mi rispondo che sì, avrei potuto e dovuto fare meglio. Ma ho tagliato il cordone ombelicale, Moona cammina da sola e se con lei ho sbagliato ormai è troppo tardi. Ci sono cuccioli che nascono malati, e il loro destino è quello di riempire la vita della mamma per poco tempo, prima di morire e lasciare la mamma addolorata sì, ma anche impegnata ad allevare altri cuccioli nella speranza di fare meglio. Per ora resto a guardarlo, quel romanzo, e mi chiedo cosa ne sarà di lui. Mi chiedo se devo fare qualcosa. Ma cosa? L’ho scritto, riscritto (4 o 5 volte), mandato a due concorsi (no, non ha vinto) e proposto a due agenzie letterarie (avrò risposta dopo l’estate...forse). Alla fine l’ho dato in pasto a internet, tanto per ingannare l’attesa. Il problema comunque è un altro. Il problema è rispondere alla domanda: “è un romanzo sui vampiri?”

E se pensate che sia una domanda banale, vi sbagliate. E’ la prima cosa che mi chiedono TUTTI quando dico che scribacchio e che ho messo su internet la storia, e io spesso mi trovo in difficoltà nel rispondere. Perché mi trovo in difficoltà? Perché sì, ci sono dei vampiri, ma no, non direi che è un romanzo sui vampiri. Quantomeno, non mi sembra proprio rispecchi il genere di “romanzo sui vampiri” che intende la gente in questo momento. Eppure, un maledetto senso di colpa mi stringe lo stomaco quando tento di rispondere alla domanda. La domanda che mi pongo IO non è se ho scritto un romanzo commerciale, ma se HO VOLUTO scriverlo. Mi sono messa davanti al pc con in mente la scena del suicidio (parte sempre tutto da lì: una scena), ma quello che ne è scaturito è stato influenzato dal “marketing de no’altri”? Onestamente credo di no. Ricordo bene come e quando ho iniziato quel romanzo (che, per inciso, s’intitola Il salvatore di anime): era per un concorso, e doveva essere un racconto. Le dritte per il genere lo dava il comitato di lettura: perciò doveva essere un urban fantasy. Davano il nome della megalopoli (che ovviamente ho cambiato) e alcuni paletti.

Dopo poche pagine scritte mi sono resa conto che non avrei partecipato a quel concorso, che la storia aveva preso una sua strada e che avrebbe proseguito senza rispettare i canoni del regolamento. Ho continuato a scrivere, senza pormi domande sul perché e sul per come. Se non ricordo male (ma non ci scommetterei grosse somme) a quei tempi non era scoppiata la moda Twilight. Ma poi è scoppiata. Ne sono stata investita in quanto scrittrice (o meglio, in quanto persona che ama scrivere)? Mi ha influenzato?

Posso dire con assoluta certezza che Il salvatore di anime sarebbe stato lo stesso romanzo se Stephenie Meyer non fosse approdata in Italia?

Perché io Twilight l’ho letto. E ho letto anche gli altri libri della saga. Alcuni non mi sono piaciuti per niente, alcuni poco e alcuni mi hanno soddisfatta. Perciò, tecnicamente, può essere vero: potrei essere stata influenzata. Non credo però di aver scritto un clone. Allora perché alla domanda “è un libro sui vampiri?” rispondo sempre con un “no, però...” o con un “sì, anche se...”?


PS

qua breve (ma intensa) lista di agenzie letterarie con tanto di prezzi

martedì 25 maggio 2010

I libri abitano qui...

Mi trasferisco! Cioè, trasferisco tutto ciò che riguarda la letteratura in generale, e lo metto qua: www.conparolenostre.it

Il template non è quello definitivo, ma i contenuti ci sono già tutti, e i commenti aperti. La grafica quindi lascia ancora un po' a desiderare ma ci stiamo attivando, è questione di giorni.

In questi lidi resteranno quindi solo le mie paturnie personali, i miei deliri animalisti (solo i deliri, infatti anche le cose serie e importanti animaliste vengono trasferite) e gli episodi di vita quotidiana. Su quel sito abbiamo riposto tanto tempo e dedizione, qualche soldini e non poche speranze. Lì sono scaricabili i romanzi mio e di Jessica: se vi va prendeteli e fatene quello che volete. Se doveste mai leggerli, ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche nel caso in cui non vi fossero piaciuti. Li abbiamo messi lì per condividerli: in fondo scrittura è anche questo: comunicazione e condivisione.

Per ora vi saluto!

venerdì 21 maggio 2010

Agenzie letterarie: numeri.

Ho provato. Ho cercato. Ho telefonato. Ho googlato.

Agenzie letterarie che NON chiedono contributi: 2.

Una è la Contrappunto. Ho cercato informazioni, esperienze. Leggono gratis. Per editare vogliono 4000 euro. Poi ti trovano una casa editrice che vuole altri 1500 euro per pubblicarti. Quindi per andare a pari delle spese dovresti vendere 6000 copie. Ci sono esordienti che con Mondadori non le hanno vendute 6000 copie. Devo aggiungere altro?

Dreamfarm. Nessuna esperienza trovata. Finora hanno pubblicato professionisti che direttamente o indirettamente hanno già lavorato nell'editoria a vari livelli. Probabilità che pubblichino una giovane esordiente: poche. Però è ancora presto, sono neonati e io concedo il beneficio del dubbio. Chi vivrà vedrà.

Le altre chiedono soldi. Oppure non accettano esordienti (Nicolazzini ha riferito che stanno valutando un servizio per gli esordienti. Temo sarà a pagamento, ma ancora è presto per dirlo. Agnese Incisa non è ancora stata contattata, provvederò lunedì).

Quindi.

Concorsi: pochi sono affidabili. Ripongo un po' di fiducia nel premio Odissea della Delos (che chiede 50 euro di spese ma regala il libro vincitore e manda una scheda dettagliata di ogni romanzo spedito - che però io, che ho partecipato l'anno scorso, ancora non ho ricevuto)(a pensarci bene, non ho ricevuto nemmeno il romanzo vincitore).

Cosa ci resta? Qualche briciolina, signori. Io sono tuttora convinta che prendere il malloppo e spedirlo alle case editrici sia una poderosa perdita di tempo e denaro. Qualche moschetta bianca (che però nell'editoria ci bazzica) mi assicura che non è così.

Conclusione: non ho ancora capito qual è la strada giusta (senza apostrofo, QUAL E' si scrive senza apostrofo! Perchè su facebook tutti mettono l'apostrofo?).

Una cosa però l'ho capita: se non hai agganci, almeno un po' di culo lo devi avere (inteso come fortuna. Il culo inteso come parte anatomica va accoppiato quantomeno a un paio di tette. Ma credo che almeno in campo editoriale tette e culi non siano indispensabili.)

Mi sono segnata un po' le informazioni raccolte sulle agenzie letterarie. Praticamente ho il listino prezzi: potrei farci un post, ma a cosa servirebbe?

Non è utile sapere a chi NON ci si deve rivolgere, è utile sapere su chi è possibile fare affidamento. E io ancora non lo so.

Sono tentata dalla cara vecchia spedizione del manoscritto. Vorrei credere a chi mi dice che "le case editrici leggono tutti i manoscritti, e lo stesso fanno gli editor", ma è davvero dura. LA cosa positiva è che ho scoperto che con la formula PLICO LIBRI la spedizione del manoscritto è a prezzo molto ridotto (ebbene sì, uno l'ho spedito!). Provare per credere.

domenica 16 maggio 2010

Basta un poco di Dimitri e un pizzico di D'Andrea e la pillola va giù

Ho rimesso piede a casa un minuto e mezzo fa. E sono qui. Qui a non saper bene cosa scrivere, però sto bene qui, davanti al mio pc e con le dita sulla tastiera e stavo bene anche a Torino, tra libri e scrittori. Così come accaduto al Festivaletteratura sono molto contenta di essere andata al Salone del Libro di Torino. Non posso non dire di preferire il festival di Mantova a alla fiera di Torino, ma entrambe le manifestazioni sono comunque da provare, a mio parere.

Diciamo che in Piemonte ad essere centrale è prevalentemente l'editoria intesa come casa editrice, a Mantova invece è l'autore e il suo rapporto con i lettori ad essere centrale.

Ciò detto, in questi due giorni ho avuto modo di esplorare un po' il mio di rapporto con i libri. In particolare ho ragionato sul mio rapporto con i libri altrui. Questo è stato finora un anno molto felice dal punto di vista delle letture, cosa che l'anno scorso non era accaduto.

Cosa c'è di nuovo quest'anno? Quest'anno ho conosciuto (dal punto di vista letterario e non dal punto di vista personale) due autori che mi hanno letteralmente entusiasmato: Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Sia chiaro che non li sto accostando in quanto simili (sono persone diverse che scrivono cose diverse in modo diverso), ma solo perchè li ho "scoperti" più o meno nello stesso periodo e mi hanno appagata e accontentata (sempre dal punto di vista letterario) ben al di là di quelle che erano le mie aspettative. Ero arrivata quasi a non considerare più il genere fantastico, mi ero accostata quasi esclusivamente all'horror, alla narrativa classica e al thriller. In parole povere ero stanca di baby scrittori e anche, lo dico in tutta onestà, del Mondo Emerso. L'ultima trilogia di Licia Troisi non l'ho nemmeno iniziata e non ho intenzione di farlo: non perchè la qualità del lavoro svolto dall'autrice sia calato, ma semplicemente credo sia giunta l'ora di uscire dall'ormai impantanato Mondo Emerso. E' giunta l'ora di dire basta, o almeno questo è il mio pensiero. Per quanto riguarda invece La Ragazza Drago ho poco da dire: il primo non mi è piaciuto e non ho intenzione di comprare i volumi successivi. Potrei riassumere il tutto con un'unica parola: noia. Il fantastico non mi divertiva più, non mi stupiva e non mi sconvolgeva.

Poi qualcuno mi ha sussurrato all'orecchio il nome di Gl D'Andrea. Per mesi non ho ascoltato quel sussurro. Poi, chissà perchè, ho detto "ok, proviamo". Ed è stata una scelta incredibilmente azzeccata. Poi, lo stesso sussurro mi ha dato un altro nome: Francesco Dimitri. Stavolta ho ascoltato subito, e ho letto Pan. Altra scelta giustissima.

Infine sono arrivati il secondo volume di Wunderkind e la nuova fatica di Dimitri (Alice nel Paese della Vaporità). E qui si è scatenato l'entusiasmo. Sono due opere che mi sento di classificare come eccellenti, due opere che mi hanno convinta al 100%, due opere che, udite udite, non mi hanno solo divertita ma anche stupita. Ho letto qualcosa che non credevo di poter leggere, che non sapevo esistesse e che può davvero cambiare il futuro del fantastico. Se io avessi due cent da puntare, li punterei su Gl D'Andrea e Francesco Dimitri. Chiaro che ora le mie aspettative sono altissime, e quindi di libro in libro divento una lettrice sempre più esigente. Chiaro che mi aspetto da questi due autori qualcosa di diverso ogni volta, qualcosa di più (più nuovo, più entusiasmante, più tutto) ogni volta. Ogni volta, mi aspetterò di leggere la parola FINE sui loro romanzi e sentirmi come mi sento adesso: entusiasta e fiduciosa.

La mia è quasi una pretesa: non li voglio vedere impantanarsi a lungo sui mondi creati finora, non li voglio vedere scrivere di tutte le generazioni future dei loro personaggi. Ogni volta qualcosa di nuovo. Chiedo troppo? Di certo chiedo moltissimo. Ma da quel poco (pochissimo) che posso (pretendere di) aver capito dalle loro parole (su blog, interviste, fb ecc...) credo di chiedere la stessa cosa che chiedono a loro stessi.

Stupitemi. Anzi, stupitemi ancora. Grazie.

giovedì 13 maggio 2010

Non lasciarmi qui.


Batuffoli di pelo scodinzolanti, saluti fatti di versi incomprensibili, baci umidi.
Ciotole piene, acqua rovesciata, cucce rassicuranti.
Lunghe passeggiate, biscotti di marca, carezze a volontà.
Terapie, inserimenti, recuperi.
Le mie e le vostre giornate sono fatte di questo e altro. Finchè stiamo insieme.
Poi devo andare via, devo andare a casa. Voi no, voi siete ancora lì.
Ogni volta è più difficile, ogni volta mi dico che manca un giorno in meno, che, forza!, un’altra settimana è passata e prima o poi quella maledetta casa sarà finita.
Esco dal vostro box - un box grande, sì, un box protetto, sì, un box accogliente, sì, ma pur sempre un box – e vedo te, Cody, che paziente e saggio come ogni cane della tua età (hai 9 anni, dicono, ma secondo me ne hai meno) ti sdrai sulla brandina e mi guardi pieno di gratitudine e di aspettative. Fai bene ad avere delle aspettative: l’hai capito, vero? L’hai capito che ti porterò a casa. Non hai fretta tu, che hai passato tutta la vita a Napoli, in un posto piccolo e sporco, senza passeggiate, senza cure. Le tue zampe storte testimoniano la poca mobilità, la tua leishmania prova le poche, forse inesistenti, attenzioni igienico-sanitarie. Poi con l’aiuto e il sostegno di altre persone meravigliose ti ho portato quassù. Quassù è pur sempre un canile, ma è un posto meraviglioso per te, che non avevi mai ricevuto tante attenzioni.
Esco da tuo box e i tuoi mi dicono: “Ti aspetto.”
Giusy, tu ancora non sei saggia, non sei paziente: tu sei una cucciola di poco più di un anno. Sei esuberante, piena di energia, eccitata. Esco dal vostro box e tu ti aggrappi alle sbarre. No, non con disperazione, non con rassegnazione, non con tristezza.
Non sei più lo straccetto di pelo e ossa con la coda mozzata che hanno portato al rifugio in giugno 2009. Eri inavvicinabile, dicono. Uno sgrorbietto piccolo ma pieno di rabbia. Ringhiavi a chiunque, la bava alla bocca, due file di denti bianchi bene in vista. Tremavi nel tuo angolo. Ma non era cattiveria la tua. No, era terrore, diffidenza, istinto di sopravvivenza. Cosa ti avevano fatto per ridurti così nessuno lo sa. Non importa, è passato tutto. Ora sei vivace e fiduciosa, un po’ irruenta ma contenibile. L’opposto di Cody, e forse per questo siete una coppia perfetta. 25 kg l’uno: 50 kg di trascorsi diversi ma con un presente in comune e un futuro da trascorrere con me e Davide.
Quando esco dal vostro box i tuoi occhi, Giusy, mi dicono: “Non lasciarmi qui.”
L’hai imparato bene, maliziosa e sveglia some sei, che se mi allunghi la zampa fuori dalle sbarre e mi guardi dicendomi così, io torno indietro, tardando il mio ritorno verso casa di altri dieci minuti.
E Cody, vecchietto ma arzillo, ti imita.
Tranquilli, non vi lascio qui. Voi aspettatemi.

lunedì 10 maggio 2010

Io, Esbat e le "robe giapponesi"

Non è mia abitudine stroncare un libro solo perchè non mi è piaciuto, perciò non lo farò, dirò solo che ho abbandonato la lettura di V.M.18 e ho iniziato Esbat.

Riprenderò V.M.18 prossimamente, magari dopo Saramago e Dazieri, quando forse non sarò più fortemente influenzata dalle altissime aspettative che mi ero creata nei confronti di questo romanzo.

Parliamo di Esbat, invece. Non esporrò un’articolata opinione perché non l’ho ancora finito, posso però dire che finora mi piace molto.

A rallentarmi, oggettivamente, è la mia davvero scarsa (quasi inesistente) cultura in ambito anime e manga (e tutte le “robe giapponesi”). Nella mia ignoranza credo di aver indovinato nel manga-anime Hinuyasha (che probabilmente non si scrive così, ma dato che si capisce lo stesso non perdo tempo a cercarlo su google) l’origine di questo romanzo che poi è una fanfiction.

Ok, di Hinuyasha so qualcosa dato che mi è capitato di vederne qualche puntata su MTV. Mi ricordo che c’era Kagome, un demone volpe, una sfera dei 4 spiriti che non ho mai capito bene cosa fosse e a cosa servisse, una tipa che è morta 5 o 6 volte che faceva (fa?) la sacerdotessa e vari altri personaggi di contorno, tra cui il cattivissimo cattivo che a un certo punto si trasforma in due neonati (uno buono e uno cattivo). Poi, ovviamente, c’è il mezzo demone e protagonista Hinuyasha che ha un fratello demone che non mi ricordo come si chiama (e che mi pare essere lo stesso che va a letto con la Sensei in Esbat).

Tutto ciò ha in realtà poco a che fare con Esbat, la cui storia si snoda su vicende diverse.

Dove sta la mia difficoltà? Non saprei indicare una motivazione scatenante (beh, i nomi giapponesi e gli optional sempre giapponesi e impronunciabili non aiutano), ma è oggettivo che quando siamo in ambito manga o anime io mi sento un pesce fuor d’acqua. Annaspo davvero, stando a galla sì, ma con fatica. E’ un po’ come essere in mare: non so nuotare ma stranazzo, il risultato è che per fare 2 metri uso il fiato che un mediocre nuotatore userebbe in 2 vasche.

Così, arrivata al momento in cui la protagonista di Esbat (Sensei...ma avrà anche un nome?) incontra il suo demone, devo tornare a rileggere tutto il primo capitolo per capire cosa diavolo le sta rinfacciando e perché diavolo prima la vuole sbudellare e poi le regala il più bell’orgasmo della vita. Poi ho capito, ma mi sono dovuta aiutare con una specie di schemino. E il problema, ne sono certa, non sta nella scrittura dell’autrice (Lara Manni) ma nella mia testa. Prendiamo, ad esempio, Full Metal Alchemist: un anime che mi risulta essere tratto da un manga. Io non ci provo proprio a entrare nella storia. Nella mia testa la filosofia di queste opere si annacqua, poi si sgretola, poi sparisce. Devo avere una specie di filtro nel cervello che mi impedisce di capire le storie, di capire i personaggi e di tenere a mente quel poco che credo di aver capito ma che probabilmente ho frainteso. Avete presente la scimmietta che sbatte i piatti nel cervello di Homer Simpson quando lavora? Ecco, a me succede la stessa cosa davanti a manga/anime, e non so il perché. C’è qualcosa che mi affascina, che mi prende e che mi trascina, ma c’è qualcosa, qualcosa di chiaramente più forte, che non mi consente di avere un vero feeling.

E la cosa triste, in tutto questo, è che ho la netta sensazione di perdermi qualcosa di davvero piacevole. Esbat non fa che acuire questa sensazione.

mercoledì 5 maggio 2010

I miei due cents su "Wunderkind 2 - La rosa e i tre chiodi"

Wunderkind - La rosa e i tre chiodi ( da qui in avanti W2) non è un romanzo, è un viaggio. Non un viaggio di piacere, però: questa è una lettura dolorosa. E' però un viaggio che vale la pena fare.

Con Una lucida moneta d'argento (da qui in avanti W1) ho faticato a dissolvere le nebbie del Dent de Nuit: penetrare il quartiere invisibile, nel primo volume, è stata una sfida piacevolmente vinta ma che mi è costata fatica.

In questo secondo volume, invece, nel Dent de Nuit ci sono stata trascinata a forza, e l'esperienza è stata violenta.

Non c'è speranza, in questo libro: solo dolore e sangue. Così come il primo volume, il W2 non è classificabile: non fantasy, non horror. E' un volume che declina il dolore all'insegna della morte e del sacrificio, spesso senza una ragionevole contropartita in cambio.

Anche i sentimenti umanamente più apprezzabili sono segnati dalla tragedia: così l'amicizia tra Bellis e Caius, così l'amore tra Rochelle e Buliwyf, così il rapporto poco delineato ma non per questo meno importante tra Gus e Mathis. Tutti rapporti spezzati, ostacolati, maledetti.

Un romanzo vergine di speranze concrete, dove l'unico significato della parola destino è morte.

La lettura è tanto piacevole quanto traumatica.

Stavolta non ho incontrato (quasi) nessuna difficoltà nello stile di Gl D'Andrea: non ho dovuto rileggere nessun capitolo per capirne il significato o il perchè della collocazione. Qualche frase qua e là sì, l'ho riletta un paio di volte, ma mi sento di precisare che l'ora tarda della lettura o lo stomaco vuoto possono aver condizionato la comprensione.

Lo stile mi è parso meno barocco, o forse, più semplicemente, il mio QI è passato da 0 a 1 nel corso di questi mesi.

Una cosa piuttosto antipatica però la devo dire.

Leggo, a pagina 39, questa frase: "Un infinito interminabile di attesa".

Questa l'ho capita (credo), ma non la condivido. Però, dato che SO bene che l'autore compie scelte e non errori (di norma...poi credo sia umano anche lui), vorrei proprio sapere come ha convinto quella Santa Donna di Silvia Torrealta a lasciare quella frase così com'è. L'infinito è interminabile per definizione, no? C'era proprio bisogno di specificarlo? Bene, è un'inezia, mi lascia quasi indifferente e non influenza in alcun modo la mia opinione sull'opera.

Il mio parare, infatti, è che il W2 sia dieci spanne sopra il W1. La storia adesso c'è tutta, la guerra è iniziata e se ne percepisce l'importanza e l'inevitabilità.

Caius finalmente acquisisce una personalità degna di nota e, Dio sia lodato, alcune sue (non) azioni descritte nel primo volume acquisiscono un senso. Ora sappiamo davvero un sacco di cose di Caius. Anzi, a dir la verità noi scopriamo di non sapere nulla di Caius. E questo significa sapere molto più di quanto sapevamo nel W1. Sì, Caius mi sta ancora un tantino sulle palle, ma ora i suoi contorni sono molto più definiti. Ora è un personaggio e non più una comparsa quasi fastidiosa.

In questo romanzo mi è mancato moltissimo Gus. Considerando l'evoluzione della storia nel corso del W2, questo potrebbe essere un problema. Potrebbe, ma non è detto: staremo a vedere.

Stavolta abbiamo qualche personaggio femminile in più rispetto a quanto visto nel primo volume. Alcune sono meteore, ma che lasciano il segno. Tutte, senza eccezione alcuna, sono l'emblema del sacrificio. Su questa cosa vorrei proprio riflettere con l'autore. Magari a breve, chissà.

Buliwyf: ah, come non capire l'amore incondizionato che la Rarefatta nutre per l'uomo e per la bestia, senza distinzione alcuna? Buliwyf mi piace, mi piaceva nel W1 e mi piace anche nel W2.

Devo dire che la mia simpatia nei confronti del personaggio è incondizionato come l'amore di Rochelle nei suoi confronti, non posso negare, infatti, di aver amato poco (molto poco) la reazione del bel (non è scritto da nessuna parte che è bello, ma io ho deciso che è bello, con buona pace di Gl) licantropo davanti a Primo. Evito spoiler, ma io Buliwyf non ce lo vedo che si comporta così. Ma forse mi è sfuggito qualcosa nelle vicende passate. Forse scoprirò qualcosa che mi farà cambiare idea nelle vicende future. O forse, più semplicemente, su questa cosa non condivido la scelta dell'autore. Sarà che quando ho la presunzione di aver capito un personaggio non sopporto che questo mi stupisca (soprattutto, come in questo caso, in senso negativo).

Pagine e pagine che grondano sangue e disperazione, senza tregua. Non c'è proprio nessunissimo spiraglio in quanto riportato nel W2.

Una cosa, lo devo ammettere, mi avrebbe reso la lettura ancora più piacevole: un po' di sano sesso. Perchè, diciamocelo, guerra, tortura, violenza, fame, odio...andrebbero di tanto in tanto intercalati a qualcosa di piacevole. E dato che la carne (putrefatta, infetta, maledetta, aliena, mutilata, torturata, liscia, sudata e chi più ne ha più ne metta) è forse una delle protagoniste del libro, un connubio con il sesso ci poteva anche stare. Almeno ci faceva tirare un sospiro di sollievo.

Ma gli amori che nascono e proseguono in questa trilogia sembrano proprio destinati a non vedersi concedere questo lusso: Rochelle non può toccare il suo amato senza ucciderlo, Gus è una chimera e non può interagire con Mathis (anche se lei un modo di interagire lo trova. Ma...) e Caius...beh Caius è forse il più sfigato di tutti (dico forse perchè a un certo punto del romanzo il Profeta bambino dice qualcosa che mi ha fatto drizzare le antenne) ma non posso dire nulla per evitare spoiler.

Io vi avverto, quindi: la lettura comporterà pianto e stridore di denti. Ne vale la pena.

martedì 4 maggio 2010

Romanzi passati, presenti e futuri

L'esercito dio Gaia è uscito negli scaffali delle Ipercoop di Ferrara: 40 copie in tutto, venti in un ipermercato e 20 nell'altro. Bene, sono contenta: almeno un po' di visibilità!

Oggi sono andata a comprare pollo e patatine per la cena e ovviamente sono passata dal reparto libri: dovevo vederle, le mie 20 copie!

La copertina è stata ritoccata e devo dire che è migliorata: il giallo della cornice e della scritta attira parecchio lo sguardo, soprattutto dei bimbi. Il problema era il posizionamento: un espositore (grande, devo dire) dedicato interamente agli scrittori ferraresi. Male, molto male. Ai ferraresi non frega niente degli scrittori concittadini, perchè di sicuro sono delle mezze seghe (dicono loro) (i ferraresi, intendo).

Ho preso tre copie e le ho messe di fianco a Geronimo Stilton, nel reparto per ragazzi.

Vedremo se il mio personale modo di fare marketing avrà più riscontro della fantasmagorica idea delle Ipercoop di fare un espositore apposito per i ferraresi.

Al momento non ho invitato amici e parenti e affini a comprare il mio libro: non avrebbe un gran senso, non è questo che uno scrittore vuole. Cosa vuole uno scrittore non mi è chiaro (no, Val, non credo sia la fama. Non solo la fama, almeno), ma di certo non vuole costringere amici e parenti e affini a comprare un libro che poi non leggeranno. Lo lascio lì a decantare: se venderà è perchè a qualcuno è piaciuto e magari l'ha detto a un altro, se non venderà può essere per parecchi motivi, uno dei quali la mancanza di appeal del libro.

Intanto "Il salvatore di anime" (che non dovrà mai nemmeno avvicinarsi allo scaffale di Geronimo Stilton, pena l'invio di un Caghoulard in libreria) è ufficialmente finito: non ci metto più le mani, non ritocco più i nomi, né il titolo, né sistemerò ulteriormente la trama. Il cordone ombelicale è stato tagliato, forse un giorno il io secondogenito letterario emetterà anche il primo vagito, chissà.

Non credo lo invierò a molte case editrici: forse 3 o 4, giusto per non sentirmi dire "non ci hai nemmeno provato". Opterò per strade diverse da quelle intraprese con L'esercito di Gaia; in primis lo metterò su internet non appena il sito sarà terminato, in secondo luogo ho contattato le uniche due agenzie letterarie che non chiedono denaro per valutare gli inediti. Se ne troverò altre, lo manderò anche a loro.

Dopo l'estate valuterò se spedirlo a qualche concorso letterario, ma di norma la presenza di un testo su internet implica l'esclusione da questo genere di cose.

Intanto procede il terzo romanzo, ormai a buon punto. E' una storia che nulla ha a che vedere col fantastico, anzi. Purtroppo tratta di temi reali: vivisezione, maltrattamento di animali, combattimenti illegali e altro ancora. A raccontare le vicende è la protagonista, perciò è scritto in prima persona, per di più al presente. Una sfida notevole per me, che ho sempre scritto in terza persona e al passato. Ovviamente non ho idea di quale sarà il titolo (avevo pensato a E.L.A. - esercito liberazione animali, ma pare riscuota ben pochi consensi), ma per quello c'è tempo. So già che mi serviranno minimo tre stesure.

Continuo a scrivere, quindi. Il perchè non lo so e non mi interessa.