sabato 20 dicembre 2008

Prigionia

Leggendo il post di Licia Troisi mi è venuto in mente che anch'io da qualche parte, ho un sacco di diari di quando ero più piccola. Ne ho ritrovato uno, e l'ho sfogliato. Ho trovato un'adolescente con dei problemi, eternamente in sfida col mondo, eternamente alla ricerca di una vittoria. Perchè per i primi sedici anni di vita tutto ciò che non dipendeva da me, era uno schifo. Andava tutto male, tutto. Pochi soldi, anzi pochissimi, una casa che era poco più che una catapecchia, un padre inesistente, una mamma che si spaccava la schiena 12 ore al giorno per poi tornare a casa sfinita e nervosa. I nonni, l'unica ancora di salvezza. Ma erano malati, e se ne sono andati che ero troppo giovane. Mi restava una sola possibilità per uscirne: avere successo. E così ogni cosa che facevo era una lotta per arrivare in vetta. Mi accorsi che nello sport ero brava ma non abbastanza, perciò mi rimaneva lo studio. Alle superiori scoprii il metodo giusto, e macinavo bei voti senza troppa fatica. Le mie vittorie erano facili in quasi tutte le materie, a parte in matematica. Ce la facevo anche lì, ma non ero il top. Io volevo essere il top, perchè uscita dalle superiori dovevo trovare un lavoro che potesse sostenere sia me che mia madre. Nel frattempo la famiglia che ormai non era nemmeno una facciata si era sfasciata completamente, e fu quasi un sollievo. Grazie Dio nella porta accanto abitava mia cugina Astrid, una che la miseria la conosce anche meglio di me. Ogni santo giorno ci trovavamo in quella specie di cortile interno, e con la massima serietà imbastivamo il piano in base al quale saremmo scappate di casa appena possibile. Nel frattempo lei abbandonava gli studi e s'immischiava in compagnie poco raccomandabili, e io perseveravo nel raggiungere il diploma col massimo dei voti. Era talmente evidente che sarei uscita con 100/100, che passavo più tempo ad aiutare i compagni che a studiare. Ero ben accettata dalla mia classe, ma per nulla popolare. Ero un'ombra nell'istituto: una delle tante. Perchè a quell'età non importa la pagella, devi essere brillante e bella. Fatto sta che intanto scrivevo. Nel diario non ci sono molti riferimenti alla vita reale. Scrivevo un sacco di storie inventate, quasi tutte grottesche e macabre, con la morte al centro di tutto. Però ad un certo punto ho trovato questa:

Quella piccola lacrima, simbolo della mia solitudine, scivola sul mio volto rigando le guance.
Gli occhi bruciano ma non riesco a fermare il pianto, che sgorga come un'emorragia di dolore.
Sola.
Nessuna porta. Nessuna via d'uscita.
Solo quella fessura dalla quale mi spia la luna.
Sembra quasi capirmi.
Anche lei è prigioniera, come me.
Sono circondata da queste mura, e non posso uscirne.
La luna è prigioniera di quel cielo stellato, e sa che non potrà mai separarsene.
La sua prigionia appare ai miei occhi quasi come una liberazione.
Per un momento vorrei raggiungerla.
No, non ci andrò. Resterò tra queste quattro mura.
Non ho bisogno del cielo stellato.
Preferisco restare nella mia prigione, perchè qui posso ancora vedere qualcosa che la luna non vedrà mai:
la luce.

La prigione è un parola che si ripete molte volte, ma io non ho corretto, perchè esprime benissimo il modo in cui mi sentivo a quell'età. Però, in fondo, ho sempre saputo che ne sarei uscita. E alla fine sto vedendo la luce.

3 commenti:

  1. Bel post d'esordio :)
    E per fortuna c'è il lieto fine ;)

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  2. Al liceo ero un sedicente poeta maledetto.
    Meglio adesso, mooooolto meglio adesso che sono un sedicente pirata! :P

    Fab

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  3. Uh, Fab...ho un debole per i sedicenti pirati!

    Val: che vita sarebbe senza un lieto fine vero o almeno immaginario?
    Ti avverto: il prossimo post è sull'epica.

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